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GRANDE ENTUSIASMO NEL PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI DI TEL AVIV IL SONNO DEL NUOVO PREMIER MENTRE IL PAESE VOTAVA PER LUI Festeggia il popolo del Likud nella giornata degli astenuti

mercoledì 7 febbraio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME LE ultime ore prima della rivoluzione che gli ha dato una vittoria schiacciante fino all’ inverosimile, Sharon ha dormito al quinto piano dell’ Hotel Sheraton, mentre senza aspettare i risultati il popolo del Likud festeggiava, gridava, agitava cartelli e palloncini nel grande Palazzo delle Esposizioni di Tel Aviv. Barak invece, rifugiato all’ Hotel Dan, ha seguitato fino all’ ultimo, mentre nella sala di Shfaim esausti e affranti i suoi si aggiravano scambiandosi poche parole, a dare ordini, a cercare di mandare a votare ancora una famiglia araba, a spingere ancora un ex amico, un uomo, una donna, per diminuire il peso della sconfitta. Ma il Paese non gli ha risposto, solo il 60 per cento degli elettori è andata alle urne: niente code, nessun entusiasmo, un senso di angoscia misto a indifferenza dopo che per tre volte in tre anni i cambiamenti di leadership non hanno portato la pace. Una giornata di voto compatto ma rado, con l’ affluenza più bassa della storia d’ Israele. La sinistra è distrutta dall’ Intifada, dalla paura degli spari, dal fallimento delle trattative. La gente d’ Israele si sveglia il giorno di vacanza, con le scuole trasformate in seggi elettorali e gli uffici quasi completamente deserti; i grandi centri acquisti si trasformano in mercati popolari dove sciamano fianco a fianco religiosi, laici, arabi israeliani. Un immenso processo di rimozione investe l’ antico fronte che pochi mesi fa dette il 58 per cento al processo di pace di Barak. La spiaggia di Tel Aviv si popola di bambini e mamme in costume da bagno, mentre il dramma e il tedio della presa d’ atto della fine del processo di pace avvia la vittoria schiacciante di Sharon. I soldati hanno finito di votare alcune ore prima, nei campi presso gli insediamenti, nelle tende in cui le urne sono state raccolte. Presto la mattina a malapena comincia ad animarsi lo scenario della rivoluzione, simile a quello che portò Netanyahu alla vittoria su Shimon Peres dopo gli attentati degli autobus. Un altro voto contro, più che a favore. Gli haredim, gli ebrei ultrareligiosi, nerovestiti, con le mille fogge di riccioli laterali e di cappelli che denotano la loro fedeltà all’ uno all’ altro rebbe si muovono, insieme agli uomini di Shas, i religiosi sefarditi, come un piccolo esercito: arrivano al seggio in una scuola di Mea Shearim, il quartiere religioso di Gerusalemme dove vivono come nella Polonia dell’ 800, portando vecchi e malati. Eshaiau Bergman, 23 anni, non è di quelli che rifiutano il servizio militare: « Io ho servito nell’ esercito, ma Barak ci voleva costringere alla coscrizione, io sono stato un volontario. Barak ci ha disprezzato, ci ha mentito, ci ha tolto l’ onore..» Eppure Sharon non è religioso: « Ma almeno - risponde Chaim, 21 anni - è pronto a fare con noi un’ alleanza, a considerarci cittadini. E poi, Barak ha messo il Paese alla mercè del terrorismo» . La propaganda continua per le strade con canti e striscioni, nonostante le proibizioni. Nei territori, nella scuola di Psagot, una colonia ancora ornata di tristi fiori in memoria di due uccisi in attentati, una donna, Raia Oren, sorride speranzosa: la percentuale di votanti è altissima. « Domani forse sarà davvero un altro giorno. Da quattro mesi non chiudiamo occhio, sotto il fuoco continuo» , dice. Nell’ insediamento di Bet El, alla scuola dove è situato il seggio, si sentono distintamente gli spari degli scontri in corso poco lontano. A Gerusalemme, nel quartiere borghese ashkenazita di Rehavia, i votanti sono tanti, motivati, tutti per Barak: il vecchio sindaco di Gerusalemme Teddy Kollek entra con la moglie Tamar: « Mi dispiace che debba andare così , ma forse presto si cambierà di nuovo strada» . « Sharon è un fascista, un uomo aggressivo» , dice Hana, una ragazza che ha accompagnato sua madre: « Magari avessi l’ età per votare..." Il paesaggio della sconfitta di Barak è soprattutto quello dei villaggi arabi, dove i votanti sono stati solo il venti per cento. Per la strada di Sfaram, i vecchi sotto un portico si preparano il caffè ; gli scrutatori hanno improvvisato una partita di calcio, per passare il tempo. A Nazareth e dintorni macchine cariche di giovani con la bandiera palestinese, bandiere nere e altoparlanti scoraggiano anche chi vorebe ripensarci, accettare le scuse di Barak per l’ uccisione di 13 dimostranti a ottobre, evitare soprattutto la vittoria di Sharon. Ma la più realistica delle immagini del voto israeliano è quella del quartiere di Gilò , dove l’ affluenza è stata alta. Immanuel ha due bambini: « Da quattro mesi dormono sotto i letti. Le nostre finestre hanno i sacchi di sabbia. Barak, io l’ ho votato l’ altra volta. Come posso continuare a votarlo, visto che ha sbagliato tutto e mi ha portato a questa situazione? Voglio vivere sicuro, voglio che mi si difenda» . Nel quartier generale della sinistra Eli Goldshmit, uno degli uomini più vicini a Barak, ha le lacrime agli occhi: « E’ chiaro che la nostra linea di pace è quella della verità , continueremo con la forze e l’ orgoglio di sempre. Con tutto quello che abbiamo attraversato, l’ Intifada, decine di morti, abbiamo ancora il 40 per cento. Una grande forza che combatterà fino alla vittoria» .

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