Gli Usa fuori dall'Unesco «Pregiudizi su Israele» Esce pure Gerusalemme
venerdì 13 ottobre 2017 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 13 ottobre 2017Sembra che l'UNESCO non possa più fare proprio tutto quello che gli pare, assegnare la tomba di Hebron dei patriarchi ebrei Abramo, Isacco e Giacobbe al patrimonio Islamico come ha fatto quest'anno in luglio, o dichiarare che Gerusalemme, compreso il Muro del Pianto, è tutta quanta araba e appartiene all'Islam anch'essa. Magari dovrà organizzarsi diversamente, abbandonando la sua totale arbitrarietà interessata, come quando ha dichiarato l'Asmara patrimonio dell'umanità o ha fatto un piacere alla Cina, esaltando la riserva naturale tibetana di Hoh Xil Qinghai (Achen Gnagyap in tibetano), come se la Cina la preservasse e non la occupasse fra le proteste dei tibetani.
E soprattutto piantarla con la persecuzione di Israele. L'Organizzazione Scientifica e Culturale delle Nazioni Unite ha esagerato, lasciandosi scappare il suo vecchio tic antimperialista e terzomondista, per il quale era stata già lasciata degli USA nel 1984 e dall'Inghilterra nel 1985 (poi sono rientrare di fronte a promesse non mantenute). Ultimamente ha voluto sbalordire il mondo con la sua inverosimile ignoranza nella negazione di ogni radice ebraica in Israele.
Ha detto l'ambasciatore all'ONU di Israele Danny Danon che "finalmente qui si paga un prezzo per le vergognose decisioni adottate via via negli anni passati", e che forse "si è arrivati all'alba di una nuova era in cui prendere ingiustificate e aggressive decisioni antisraeliane ha una conseguenza". Sarà così anche la UE e l'ONU? Forse una luce balugina da lontano.
La svolta ha la faccia giovane e decisa della rappresentante dell'amministrazione Trump all'ONU, un viso da indiana, Nikki Haley, che fin dal primo giorno avvertì dagli scranni dell'organizzazione: così non si può continuare, non ci stiamo più ad avvallare il pregiudizio, le continue ossessive e fantasmagoriche risoluzioni che scippano gli ebrei della loro appartenenza storica alla terra d'Israele, negando per esempio che la Tomba dei Patriarchi di Hebron sia loro retaggio e facendo lo stesso con la città che per gli ebrei è la vita stessa: Gerusalemme.
Un segnale di amicizia non solo culturale, ma anche politico di fronte all'Islam estremo, al terrorismo, alla palude mediorientale, e adesso, all'orizzonte, alla questione dell'accordo con l'Iran da cui Trump intende ritirare gli USA.
C'è anche la spesa ingente che tutto il mondo paga per l'Unesco: gli USA le devono 500 milioni e Rex Tillerson vuole imporre una politica che "fermi il sangue". L’Unesco è ostile da sempre agli USA, lo ripaga con scelte controverse, debolucce, spesso interessate: accanto alla Grande Muraglia o le rovine Inca di Machu Picchu, indispensabili, si disegnano enclave per élite di viaggiatori raffinatissimi, sia quelli che vogliono vedere gli edifici degli anni trenta dell'Asmara (il Dipartimento di Stato americano ne proibisce la visita, così come la sconsiglia il Ministero degli esteri australiano) che quelli che hanno voglia di visitare Dauria, un paesaggio ventoso che appartiene alla Mongolia e alla Russia... e così via, come l'inclusione di Yazd, una remota città in montagna nel centro del Paese, con magnifiche rovine antiche, molto difficile da raggiungere sempre che uno non voglia addentarsi nel Paese degli ayatollah.
La portavoce dello State Department ha annunciato che "la decisione non è stata presa a cuor leggero, ma riflette le preoccupazioni americane su molte mancanze, il bisogno di riforme fondamentali ed il continuo pregiudizio contro Israele". Chiudendo l'ovile dopo la fuga delle pecore, l'Unesco ha evitato la votazione di un remake delle solite dichiarazioni che niente è ebraico, tutto è musulmano a Gerusalemme, Hebron, Israele eccetera. Ma ormai è tardi.
E' in predicato di divenire presidente dell'organizzazione dopo Irina Bokova che se ne va, un personaggio addirittura in odore di antisemitismo militante e diffusioni di libelli, Hamad bin Abdulaziz al Kawari, del Qatar, che nelle votazioni guida con 20 dei trenta voti necessari; al secondo posto appare Audrey Azoulay, francese, come al Kawari ex Ministro degli Esteri, con 13 voti per ora. Giovedì l'eventuale ballottaggio. Chiunque vinca, l'ONU è avvertito: il disinvestimento dall'Unesco può diventare disinvestimento dall'ONU.