GLI PSICOLOGI AVEVANO DETTAGLIATAMENTE DISEGNATO IL PROFILO SELL’ A TTENTATORE SUICIDA SINGOLO I kamikaze in coppia, la nuova « arma letale» Cade la figura tradizionale dell’ uomo-bomba che cerca solitario il martirio
martedì 7 gennaio 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
UNA coppia gemella nella morte, un duetto per esplosivo e pezzi
d’ acciaio,
Borak Halfa e Samer al-Nouri, di Nablus: non è la prima volta che
accade, ma
fa particolarmente impressione lo sdoppiamento del terrorista
suicida, una
figura che nella sua efferata tragicità si immagina solitaria,
determinata
da sue motivazioni molto specifiche e personali (anche gli psicologi
come il
professor Merari, specializzato in terrorismo, nel passato hanno
visto così
questo repellente protagonista della nostra epoca). Di più , nella
misera
zona di Tel Aviv dello scoppio di domenica, Nevè Shaanan, ventre
molle in
cui è più facile scivolare anche gonfi di un carico di venti chili a
testa,
il 17 luglio un altro duetto saltò per aria uccidendo cinque persone
e
ferendone 32. Se andiamo ancora indietro con la memoria un'altra
coppia,
stavolta mal riuscita, ruppe il patto di morte il 22 aprile dello
scorso
anno, quando la ventenne Sarin Ahmad tornò a casa a Betlemme da
Rishon Le
Tzion lasciando in un giardinetto il suo zaino carico di esplosivo e
chiodi,
mentre il suo compagno di 16 anni invece, Issa Badir, decise di
andare fino
in fondo e uccise tre poverini che giocavano in un giardino.
Questa coppia, che ha la ventura che la sua storia possa essere
raccontata,
ha avuto un brevissimo preavviso per la sua azione, una preparazione
quasi
nulla, una spinta psicologica violenta e una sorveglianza pressante
fino al
compimento dell'azione. La coppia è per il terrore un prezioso dono,
un buon
investimento: con poco sforzo ottiene risultati maggiori, sostituisce
discretamente con due esplosioni l'ambì to attentato catastrofico che
i
terroristi palestinesi da tempo perseguono senza riuscire ad arrivare
in
fondo (vedi l'attacco abortito al deposito di benzina di Glilot o i
vari
tentativi di far esplodere le torri Azrieli, mastodontici grattacieli
di Tel
Aviv), è mediologicamente interessante perché fa parte di una squadra
organizzata, e dà quindi l'idea di potenza e vitalità
dell'organizzazione.
La psiche del terrorista conta per una scarsissima parte, e semmai
solo nel
momento dell'assenso, consegnato nella mani di un'organizzazione
insistente
e pressante che comanda e promette fama, onore, denaro per la
famiglia,
memoria eterna e Paradiso: è il caso di Sarin Ahmad, che sulla scia
di un
lutto e di un amore disse di sì a un destino di cui non aveva affatto
immaginato la realtà , e che una volta in campo l'ha terrorizzata e
respinta.
Altri non hanno il tempo e il modo di dire di no una volta arruolati.
I Tanzim, nella parte dei Martiri di Al Aqsa che hanno rivendicato
l'azione
sono ormai gli autori certificati dell'attentato, secondo tutti gli
esperti:
essi sono figli dell'organizzazione di Arafat, che pure ha condannato
(senza
però minacciare azioni o sanzioni di sorta) l'attentato: il cronista
di Al
Jazeera che ha ricevuto e trasmesso la rivendicazione è ora
trattenuto
dall'Autorità palestinese perché sospettato di coprire l'autore della
dichiarazione, da lui trasmessa in tv. L'attacco viene dopo settimane
in cui
l'esercito aveva contenuto la maggior parte degli attentati
progettati: ogni
giorno seguitavano a esserci circa trenta allarmi dietro i quali la
polizia
e l'esercito avevano dovuto correre, con relativo successo.
L'ondata di arresti è corsa parallela al tentativo degli egiziani di
mettere
a segno un gran colpo agli occhi degli americani che vogliono quiete
nell'area, cercando di ottenere fra tutte le organizzazioni
palestinesi
invitate al Cairo da Mubarak un accordo per cessare dagli attacchi
terroristici. Ma la gara alla retorica del no ha prevalso: Hamas e la
Jihad
hanno più volte dichiarato che il convegno era inteso solo a
discutere tra
fazioni palestinesi in pace e che non era affatto nelle loro
intenzioni
smetterla con gli attentati ai civili. Domenica scorsa, dopo un
sofferto
silenzio, Faruk Kaddumi, capo dell'Ufficio politico dell'Olp, ha
dichiarato
al settimanale Kul el-Arab: « Noi non siamo affatto diversi da Hamas,
che è
un movimento nazionale. Strategicamente non c'è differenza fra di
noi» .
Ovvero: poiché tuttora il consenso della gente, sia pure con
eccezioni e
polemiche, si basa sull'epica del terrore, chi vuole contare non se
ne
discosta.
Così , dato che la Jihad Islamica aveva preso la leadership con il
sanguinoso
attacco a Hebron del 15 novembre, si è poi aperta una sotterranea
gara fra
gruppi, sotto la quale scorre un fiume di doppia eccitazione: le
elezioni
israeliane, e il consueto tifo del terrore per una leadership dura
(come
accadde ai tempi di Peres e Netanyahu); e il brivido della guerra
irachena
in arrivo, cui i gruppi estremi vogliono arrivare in sintonia con i
Raí ss.
Arafat che fa in tutto questo? Se non è attivo, è almeno
indifferente. Non
fa nulla per fermare il terrore, neppure quando i killer escono dalle
sue
fila, e Netanyahu dunque sostiene che l'idea delle « riforme» è più
lontana
da lui della Luna, e che quindi è inutile che i suoi uomini partano
per
Londra. I palestinesi hanno subito 1800 arresti da settembre, diversi
capi
sono stati uccisi, e mentre una parte della popolazione è decisamente
stanca, la leadership, invece, di tutte le fazioni sente che il
terrorismo è
percepito come un mezzo legittimo dalla maggioranza, e resta
allineata. Ci
si può aspettare, finchè Sharon ha le mani relativamente legate dagli
Usa,
che molti terroristi singoli o in coppia partano in questi giorni in
missione.