GLI ISLAMICI AL GOVERNO TRA SFIDA E PAURA DI PERDERE I FINANZIAMENTI La strana babele del premier Haniyeh Dire e poi smentire
sabato 8 aprile 2006 La Stampa 0 commenti
« Questa poi non è vera! Dove l'avete sentita?» ha risposto ieri Ismail
Haniyeh ai giornalisti che chiedevano se Hamas, come dicono alcuni
rappresentanti del suo governo, è disponibile alla soluzione « due stati per
due popoli» , e che la proposta sarebbe stata presentata al presidente Abu
Mazen dal ministro degli Esteri Mahmoud Zahar. Hamas cerca la strada di
qualificarsi per i fondi e il riconoscimento occidentali senza rinunciare
alla sua linea. Usa il doppio registro dell’ arabo e dell’ inglese, mette ogni
giorno in scena un nuovo teatro di dichiarazioni e smentite. Da quando il
governo è in carica lo sforzo si è intensificato: un governo dichiaratamente
jihadista sa che da una parte deve mantenere il consenso col messaggio della
conquista totale di Israele all’ Islam, ma che nel frattempo deve evitare la
fame.
Così , il primo ministro Haniyeh, che per segnalare la svolta moralizzatrice
di Hamas dopo la corruzione di Fatah, ha deciso il blocco degli stipendi dei
parlamentari, ha dichiarato alla Cbs (in inglese) che non avrebbe mai
mandato suo figlio a immolarsi come terrorista suicida e che non gli passa
per la mente di spedire nessuno a compire azioni di questo tipo. Ora, a
parte che è stato per molti anni braccio destro dello sceicco Yassin,
inventore e stratega spirituale dello shahidismo, il giorno dopo la sua
dichiarazione venivano diffuse da Hamas (in arabo) smentite e spiegazioni.
Haniyeh, appena eletto, aveva detto che qualsiasi fosse l’ atteggiamento
europeo e americano, i palestinesi avrebbero trovato fondi alternativi. I
toni baldanzosi, il rifiuto di condannare la lotta armata ribadito dalla
decisione di non prendere nessuna misura contro la « resistenza» e non
riconoscere Israele, oggi marciano in parallelo con dichiarazioni più
morbide: « Non impediremo contatti fra ufficiali palestinesi e israeliani per
gli affari correnti» , ha detto dopo l’ insediamento. Il più audace è il
ministro degli Esteri Mahmoud Zahar, un leader molto duro, implicato in
parecchi attentati. Dopo aver ripetuto senza risparmio che Israele deve
essere distrutto, domenica scorsa parlando con l’ agenzia cinese Xinhua ha
ripetuto: « Sogno di appendere sul muro della mia casa una enorme mappa del
mondo in cui Israele non compaia. Il nostro stato sarà stabilito su tutta la
Palestina storica» . Due giorni dopo ha scritto a Kofi Annan chiedendo di
liberare i fondi per i palestinesi, e insistendo sulla necessità di lavorare
insieme al Quartetto per frenare le « azioni criminose di Israele» , che
diminuiscono le possibilità di raggiungere una « soluzione per due stati» .
Aggiungendo che i palestinesi vogliono vivere in pace con i loro vicini.
La reazione a questa uscita è stata di grande accoglienza: un implicito
riconoscimento di Israele, è stato detto. La mattina dopo i commentatori
palestinesi spiegavano alla radio israeliana che non era certo quello che
Zahar intendeva, che i vicini dei palestinesi sono tanti e Israele è l’ unico
che per Hamas non esiste. Dopo la delusione ieri, tuttavia, in inglese,
Zahar ha detto al « Times» che il suo governo è pronto a proporre un
referendum per sapere se i palestinesi vogliono discutere la soluzione dei
due stati. Però solo dopo che Israele abbia detto cosa è pronto a dare in
cambio. Nella stessa giornata, in arabo, Zahar ha detto a Al Arabya che è
perfettamente legittimo proseguire con gli attentati.
Dunque, sia Haniyeh che Zahar giocano con i no e con i sì . Quello che
sembrano cercare è una tregua che consenta loro di stabilizzarsi, riaprire i
rubinetti dei fondi e pagare i 140 mila stipendi statali in una situazione
di aperto scontro con Fatah. E preparare, dicono gli esperti, un esercito
ben armato praticando il nuovo asse di amicizia islamista (con Hezbollah,
Iran, Siria) e importando armi e uomini dal confine di Gaza con l’ Egitto.
Una cateratta da cui entrano a valanga, dice il residente della Commissione
difesa della Knesset, Yuval Diskin, armi leggere e pesanti, oltre a uomini
ben allenati. Anche Al Qaeda (di cui ieri è stato arrestato un infiltrato
nella West Bank) ha ormai una presenza comprovata. In proprio, Hamas non ha
più compiuto attacchi terroristi da molto tempo; ma le Brigate di Al Aqsa e
la Jihad Islamica, ora mosse anche da motivi di concorrenza e di conquista
del consenso popolare, creano una situazione di allarme costante (anche ieri
alcuni missili Kassam sono arrivati nel centro di Sderot e al kibbutz di
Karmiya, a Sud d Ashkelon) e i terroristi bloccati con le cinture esplosive
si contano a decine. Hamas ha cercato sottobanco contatti nei giorni scorsi
chiedendo « quiete in cambio di quiete» e gli egiziani hanno di nuovo portato
il messaggio a Israele. Ma gli esperti non vedono per ora segni che questo
possa servire ad altro che a guadagnare tempo e preparare una nuova
offensiva. Si dice che per questo Hamas potrebbe anche dichiarare un cessate
il fuoco unilaterale. Ma Khaled Mashaal, nonostante tutte queste
complicazioni, dice sempre la verità : « È finito per Israele il tempo delle
guerre facili, in cui gli arabi erano divisi. Adesso è tempo della guerra di
liberazione della nostra terra e tutti i combattenti islamici sono felici di
morire per la più santa delle cause» .