Gli integralisti annunciano la condanna a morte di Ron Arad, prigioni ero da dieci anni Gli sciiti: entro 48 or e avrete la videocassetta
sabato 20 aprile 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Siano o no Hezbollah, capiscono molto bene
gli israeliani quelli che, gettando una manciata di sale sulla piaga
aperta giovedì a Kana, ieri hanno minacciato la vita del loro
prediletto Ron Arad. Il messaggio viene da un'organizzazione
che gli Hezbollah, in via ufficiale, rifiutano
come propria: esso annuncia che il pilota israeliano sarà ucciso
entro 48 ore come reazione alla strage perpetrata dagli israeliani
nel Libano meridionale. Il messaggio avverte che l'opinione pubblica
israeliana sarà ragguagliata a dovere sulla fine del suo caro, con
una cassetta distribuita ai media. mormora rivolta
prima ancora a se stesso che a chiunque altro la gente d'Israele, ma
un brivido passa inevitabilmente sotto la pelle: e se fosse vero? Se
davvero accadesse, insieme al governo Peres sarebbe perduto un grande
sogno e il simbolo di una scelta di fondo dello Stato d'Israele:
quella di considerare la vita di ogni singolo soldato, di ogni
singolo civile preziosa ed unica, degna di essere salvaguardata anche
a prezzo altissimo. Ovvero, tutto il contrario di quel che accadde
agli ebrei durante l'Olocausto. Ron Arad, pilota di Phantom,
precipitò nel 1986 presso il porto libanese di Tiro. Finì nelle
mani della milizia sciita di Amal. Poi lo presero in consegna gli
Hezbollah con l'aiuto logistico dell'Iran, Lo comprarono dagli sciiti
per 300 mila dollari. Nel 1988 gli israeliani hanno tentato di
riaverlo con il rapimento del capo degli Hezbollah Jawad Kassafi; nel
1989 prelevarono nel suo villaggio libanese lo sceicco Abdel Karim
Obeid e infine, nel 1994, compirono l'ultimo e inutile rapimento.
Mustafà Dirani, un altro leader degli integralisti islamici che
sparano Katiushe su Israele. Ma l'ultima lettera di Ron risale al
1987, la sua foto con una lunga barba e il volto sfinito da
prigioniero torturato è del 1991. L'avvocato tedesco Wolfgang Vogel
tentò invano di scambiare Arad con due spie sovietiche detenute in
Israele, Marcus Klinberg e Shabatay Kalmanovich, ma poi il crollo del
blocco comunista distrusse l'iniziativa. Ancora l'anno scorso Israele
e l'Iran si sono confrontate direttamente su questo tema tramite un
altro mediatore tedesco, stavolta stretto collaboratore di Helmut
Kohl: allora si dette per imminente uno scambio di Arad con Obeid e
Dirani, e anche con lo sceicco palestinese Ahmed Yassin. Israele in
quel momento manifestò un'enorme emozione al pensiero che la
figlioletta che non aveva mai visto suo padre, la moglie Tami e la
madre di Ron, che non smettono un giorno di fare propaganda perché
il loro congiunto venga loro restituito, avrebbero presto potuto
abbracciare il pilota. Teheran e le sue carceri popolarono le
fantasie degli israeliani. E quando più tardi un aereo iraniano
finì , dirotta to, in un aeroporto del Sud Israele, la madre di Ron
corse ad attaccare sulla sua fusoliera e sulle vesti degli stupefatti
passeggeri in attesa di essere rimpatriati, gli sticker che ancora
ornano tante automobili israeliane:
libero. Ci fu anche chi criticò il governo Rabin per aver lasciato
partire il velivolo senza barattarlo con la vita di Ron. Anche Arafat
a suo tempo si è interessato della sorte di Ron Arad. Ma egli è
come un remoto, nascosto talismano per qualsiasi governo che potesse
renderlo vivo; così come una minaccia per qualunque primo ministro
dovesse annoverarlo fra i suoi morti. Perché Arad è divenuto il
simbolo stesso della terribile lotta per la sopravvivenza di questo
Paese, della sua incertezza, del mistero che sempre circonda il suo
futuro. Ed è anche il banco di prova della capacità ebraica di
reagire, di farcela, la scommessa di questo Paese stesso. Né i
libanesi né gli iraniani hanno mai voluto né forse potuto trattare
in prima persona la sorte di Ron Arad: sembra esistere un tacito,
cupo accordo, per cui se il pilota è ancora vivo egli è merce
utilizzabile dagli Hezbollah, o da chi essi considerano un loro
intimo amico. Tuttavia la ragione induce a pensare che in questi
dieci anni di botte, torture, privazioni, odio poiché questo è il
quadro che esce da tante storie di prigionia raccontate dagli ostaggi
ebrei, Ron possa essere stato ucciso. I suoi amici e suoi familiari,
quelli che sperano di vederlo tornare, organizzano meeting annuali
ancora molto affollati in cui si cantano le canzoni che sono state
scritte per lui, scorrono su schermo gigante le sue foto, si leggono
le poesie che amava e ognuno ricorda il tempo in cui era un allegro
ragazzo in mezzo agli altri. Israele ancora lo aspetta. Un recente
studio di un gruppo di psicologi israeliani testimonia che la sua
prigionia e la sua liberazione appaiono continuamente in sogno alla
popolazione israeliana. Ognuno qui è un po' Ron Arad: prigioniero di
una situazione impossibile. Fiamma Nirenstein