“Gerusalemme on my mind”
Liberal, 1 marzo 2012 di Antonio Picasso
Una lettera di amore e di speranza per una città cara al mondo intero
«Tutto è vero e tutto è falso». Così Fiamma Nirenstein giudica l’accrocchio di ebraismo, cristianesimo e Islam che si condensano nei pressi della tomba di David. Perché nello stesso posto sacro al popolo eletto, i fedeli in Cristo identificano il luogo dell’ultima cena di Gesù. I musulmani, per non essere da meno, vi hanno costruito una moschea. È un eclettismo fideistico che non si limita a quell’angolo di Città santa, ma che va oltre, abbraccia Israele e il West Bank, per poi planare sull’intero Medioriente. «Tutto è vero e tutto è falso». Così è ovunque da quelle parti. Perché ognuno ha una visione delle cose che pretende di essere talmente vera che,agli occhi delle parti avverse,diventa subito falsa. Il Medioriente non è fatto di aut-aut, bensì di et-et. E Gerusalemme lo conferma. Proprio lì, dove chi crede che riposi re David è sconfessato dai cristiani, i quali a loro volta vengono scalzati da musulmani. È la ruota della polemica che gira intorno a una storia fossilizzata nei secoli.
Siamo nelle prime pagine del libro che la giornalista italiana ha da poco pubblicato per Rizzoli.“A Gerusalemme”, un titolo eloquente, per un lavoro di difficile classificazione. Un reportage? Troppo poco. Un libro di storia? Nemmeno. Per chi ha avuto la fortuna di camminare nei vicoli della Città vecchia a fianco dell’autrice, sa che “A Gerusalemme” per la Nirenstein è un romanzo intimistico di una giornalista da sempre innamorata di quel che scrive. È un libro scritto da una donna ebrea che, giustamente,desidera condividere con il lettore ciò che vive ogni giorno dalle finestre della sua abitazione, laggiù nei luminosi quartieri moderni della città. Montefiore, per chi conosce questa città, non è il solo a stupire. Di arditezze architettoniche e sincretismi culturali Gerusalemme è piena. L’autrice sfoglia il suo album di fotografie senza un sistema. Perché i ricordi attraversano la mente, ma hanno un loro mo-do di procedere, alle volte inconciliabile con la razionalità. Non a caso il padre di Fiamma Nirenstein entra in scena quando si parla di politica. Ma lo fa all’improvviso. Aron Alberto Nirenstein era un pioniere di Eretz Israel. Scampato alla Shoah, si era arruolato nelle brigate ebraiche, sbarcate in Italia con gli Alleati durante la Seconda guerra mondiale. Ma per l’autrice è semplicemente “suo babbo”. Poi altri aneddoti familiari cadenzano la cronaca dell’Intifada. Un periodo segnato dalla paura, ma anche dalla convinzione che potesse essere superato. Gli orrori di quegli anni sono semplici.
I volti delle madri, sconvolte di fronte ai loro figli dilaniati dagli attentatori suicidi, i caratteristici caffè trasformati in crateri, i numeri degli autobus, non più associati ad asettiche linee di percorso, ma a momenti di terrore. Per Gerusalemme politica significa quotidianità, desideri passati e sogni futuri. Soprattutto se a ragionare è un ebreo. Il popolo eletto fa della Città santa il proprio faro nella storia, nonché l’egregora pasquale. Hashanà haba’a b’Yerushalayim (l’anno prossimo a Gerusalemme), si augurano alla fine della festa di Pesach. Attenzione: “A Gerusalemme”,come nel titolo del libro. Ed è grottesco come con l’Intifada si sia cercato di cacciare il popolo ebraico proprio da Gerusalemme. L’inizio è semplice. Fa pensare a una guida di viaggio di inizio Novecento, quando per girare il mondo si ricorreva alla letteratura. I contrasti tra le pietre che abbagliano per il sole riflesso e il cielo sempre così turchino. Il brulicare di genti negli alveari umani della Città Vecchia. C’è poi quel caotico turismo – religioso e non – che si sposa con il disordine congenito di una città di cui non si contano i nomi e i millenni. Turisti e visitatori sono da sempre ignari dei segreti che ogni pietra, vetrata o reliquia racchiude in sé. Urshamen, Urusalim,Yarushalem, Yerushalayim, infine Gerusalemme. In italiano, perché poi nelle altre lingue moderne, il nome ha le sue altre varianti. Il tutto secondo un’anagrafe di cui si sono perse le tracce certe. E questo porta gli archeologi a ipotizzare età antiche, mentre gli scettici a storcere il naso. «Tutto è vero e tutto è falso», appunto.
È un romanzo on the road. Ancora una volta: personalistico. Vedere le cose con i propri occhi e ribadire sempre che questa è l’opinione dell’autore è la forza di queste pagine. Fiamma Nirenstein non è la prima a riuscire nell’esperimento: fare di una città la protagonista di duecento e passa pagine. Prima di lei, a memoria personale, è stato Ohran Pamuk con “Istanbul”. Le due città hanno un bel po’ da condividere. Etnie, confes-sioni religiose, antichità e separazioni (soprattutto fisiche) dei giorni nostri e che rimandano a conflitti passati lasciati aperti. Tuttavia, quella “a” iniziale nel titolo della Nirenstein ha un peso importante. Io sono “A Gerusalemme”, dice l’autrice. Noi siamo “A Gerusalemme”, inteso come popolo ebraico e, sempre per ricollegarsi alla Tomba di David e a tutto il suo sovra-strato, fedeli a un solo Dio. Gerusalemme la chiamano la Città dei muri, ma Fiamma Nirenstein sta bene attenta a evitare questa attribuzione. Non vuole cadere nella tentazione delle separazioni che se avessero ancora più ossigeno di quel che già hanno, prenderebbero davvero il sopravvento. Il momento è drammatico: tra primavera araba e congelamento del processo di pace, non si può certo dire che una svolta positiva sia dietro l’angolo. Il libro, però, è scritto sotto la luce dell’ottimismo. Costi quel che costi, le soluzioni vanno trovate. Anzi create! Un’ostinazione doverosa per cui Yitzaq Rabin è stato assassinato. Si badi bene: non a Gerusalemme, ma a Tel Aviv, vale a dire in quel regno di modernismo e movida che sembra tanto lontano dall’austerità della Città santa.
A proposito di creazione, non si può parlare di Gerusalemme lasciando da parte il suo vero architetto e urbanista. «Gerusalemme città di Dio?» si domandala Nirenstein, quasi snobbando la risposta. E se in passato la questione si riduceva a una mera disputa storica, oggi che tutto sia nato in questa città è un punto che non si può mettere in discussione. Non si sta parlando solo di conflitto confessionale. Quello c’è, senza alcun dubbio. Bensì del fatto che «è Gerusalemme il luogo di nascita del monoteismo». Non è poco.
Né in termini di evoluzione antropologica, né per quanto riguarda quella convinzione ottimistica per cui se Gerusalemme è il problema, nella stessa deve nascere la soluzione. Universalismo ed ecumenismo non possono più limitarsi a giocare il facile ruolo di pars destruens, devono tornare a costruire. Altrimenti sono sprecati. In tal senso, sorprende come Fiamma Nirenstein – di cui conosciamo passioni, idee e anche terreno di ricerca – affronti il tema politico solo dopo una trentina di pagine.
Ci si aspettava uno tsunami immediato. Al contrario, il tema è un’onda lunga che sale progressivamente Parte dagli spazi di dialogo e poi riprende ricordi, zone d’ombra e ferite ancora aperte. L’incipit risiede nella possibilità di attribuire alle minoranze arabe un’indipendenza municipale. Una soluzione semplice, ma molto più funzionale di quelle proposte in questi oltre 60 anni di conflitto. Fare di Gerusalemme un’enclave internazionale era un sogno che poteva apparire possibile solo a che non era frustrato da questo oltre mezzo secolo di scontri. Dividerla? E com’è possibile? Gerusalemme non è una città pluralista, bensì è mista. Minoranze e maggioranze sono talmente intrecciate che non si possono spaccare con un muro, o una rete di divisione. E in questo la considerazione dell’autrice non fa una piega. Gerusalemme non è sulla Linea verde, vale a dire non è attraversata da quel confine pre-1967 (Guerra dei Sei giorni), che a suo tempo separava Israele dalla Giordania e che oggi i palestinesi reclamano come frontiera di un loro futuro Stato indipendente. Con una Palestina libera, Gerusalemme sarebbe difficile da far rientrare in questo territorio. Certo, Fiamma Nirenstein non filtra le due posizioni. Non è celebre per questo. “A Gerusalemme” inoltre è una storia d’amore. Difficile quindi aspettarsi un distacco asettico da quelle «ragioni di ebrea»che hanno portato a scrivere queste pagine. L’autrice è convinta che le opportunità vadan create partendo dall’accettazione che questa è la capitale di Israele. «Un ebreo, senza Gerusalemme, è monco», sottolinea, suggerendo all’autore il senso inverso nella lettura della stessa frase. Scomoda, infatti, Giuseppe Verdi e Winston Churchill per ricordare che gli ebrei sono i migliori amministratori della Città santa. Non si tratta di parzialità, bensì di essere testimone e parte attiva di una situazione palese davanti agli occhi di tutti. Sono in molti, anche tra i palestinesi, a condividere la stessa idea. Come sono tantissimi gli arabi con cui l’autrice ha parlato, durante la sua esperienza da inviata, e parla ancora in qualità di vice presidente della Commissione esteri della Camera.
Un mondo arabo-islamico che non è fatto solo di jihadismo o Intifada, ma che conosce le strade che realisticamente si possono percorrere per la propria libertà. Dal1967, anno in cui Mosheh Dayyan entrò nella Città vecchia,Gerusalemme è sotto giurisdizione israeliana. Mentre da 17 anni prima è la capitale dello Stato. Ma non è un discorso politico quello che fa la Nirenstein. In qualità di libro on the road, in queste pagine si percepisce come la municipalità sia riuscita a far risorgere un tesoro archeologico distrutto e un intreccio culturale che si stava dimenticando. Tutto questo “A Gerusalemme”, un libro che fa immaginare,oppure, per chi nella Città santa c’è stato, fa ricordare. «Vai oltre le mura della Città Vecchia», mi disse due anni fa la stessa autrice. È un consiglio che ho personalmente ritrovato in queste pagine.
Cara Fiamma,ho appena finito di leggere il Suo ultimo lavoro “A Gerusalemme”. Sento il bisogno di esprimerle la mia gratitudine per avermi dato il piacere di “rivedre” l’immagine di una Jerushalaim fresca e genuina. Ho ritrovato nelle pagine del libro che ho letto con viva emozione, la “mia” Gerusalemme dove ho portato a termine i miei studi rabbinici e, contemporaneamente, la “nostra” Gerusalemme nel senso di una città in cima ai sogni, alle speranza e alle aspirazioni millenarie d’Israele.Traspaiono dalle Sue pagine uno smisurato amore, una passione incontenibile per la città presentata con tutto il suo fascino, i suoi problemi, i suoi difetti e i suoi profumi; un amore che coinvolge il popolo d’Israele, la sua cultura, la sua lingua. Todà di cuore!Luciano