Gaza, attenti agli abbagli
domenica 24 giugno 2007 Il Giornale 0 commenti
Arrivano gli ospiti: a Sharm el Sheikh domani in un summit al limite fra l’emergenza e l’incosistenza, il padrone di casa Hosni Mubarak si incontra con re Hussein di Giordania, altro leader del fronte moderato, con Abu Mazen, ormai Presidente della Cisgiordania, Fatahstan, da quando Gaza è nelle mani di Hamas, e Ehud Olmert, primo ministro israliano. Un summit d’emergenza, increscioso, pieno di problemi per tutti data la vittoria di Hamas a Gaza; incosistente, perché questa è la seconda grande crisi cucinata a Teheran e non nei Paesi Arabi, dopo quella del Libano dell’agosto 2006.
Ognuno dei partecipanti sente che la circostanza è fatale. L’Egitto di Mubarak, che ieri ha lanciato una sua personale condanna definitiva contro Hamas, sente che il confine del Sinai con Gaza è ormai bollente perché i suoi Fratelli Mussulmani e Al Qaeda si aggiustano alla nuova battaglia per il Cairo; Abdullah ha nel sangue i geni della lotta che suo padre dovette affrontare contro i palestinesi di Arafat fino al Settembre Nero del 70, sa bene che i suoi cittadini sono per più del 70 per cento palestinesi, e che il terrorismo religioso internazionale gli ha già portato gli attentati di Amman; Abu Mazen, sconfitto a Gaza, gioca tutte le sue carte sull’aiuto internazionale e combatte nel bastione della West Bank l’ultima battaglia; Olmert, appena tornato da Washington, teme due guerre sul confine, Hamastan e Hezbollah, ma sulla scia della “visione dei due stati” di George Bush, intende appoggiare l’unico interlocutore all’orizzonte, Abu Mazen. Cosa può uscire fuori da Sharm? Certo una condanna di Hamas e il sostegno ad Abu Mazen. Ma, soprattutto, una consolazione di fronte a una situazione difficile politicamente e orribile dal punto di vista dei crimini cui abbiamo dovuto assistere, con tagli di testa, fucilazioni di donne, assalti agli ospedali. Abu Mazen può sanare la ferita politica e morale dei palestinesi? Gli Stati Arabi possono compiere azioni irrilevanti? Il prezzo anche solo per tentare è molto alto, e vorremmo porgere qualche sommessa raccomandazione alla nostra diplomazia europea: per favore, non cedete al solito vizio, non sorridete come se l’incontro fosse già in sè un risultato, come se fossimo di fronte a qualche adorato “processo di pace”. Non lo siamo; questo è il giorno dopo un altro sogno inutile, Hamas non solo non è mai stato, come qualcuno pensava, un possibile interlocutore, ma un’organizzazione malvagia e terrorista contro il suo stesso popolo. Numero due: concentratevi sull’indispensabile ruolo dell’Egitto nell’attuale crisi mediorentale. a Mubarak, che per il suo bene deve finalmente fermare il flusso delle armi dal Sinai a Gaza, suggerite di impegnarsi pubblicamente. Numero tre: spingete i partecipanti ad affrontare apertamente il tema Iran, così che Ahmadinejad avverta concretamente l’opposione araba moderata, perché dopo la seconda grande crisi che nasce nel Golfo Persico, la terza può comportare un’esplosione generale. Quattro: chiedete al re se pensa di rinfrescare, naturalmente d’accordo con Abu Mazen, una politica di responsabilità verso la West Bank; una confederazione oggi sarebbe una mano santa per i palestinesi e per tutto il mondo. Cinque: spiegate francamente a Abu Mazen che ci si aspetta da lui il disarmo delle milizie dei Tanzim, delle Brigate di Al Aqsa, degli altri gruppi illegali. Sì, sappiamo che l’ha già annunciato, e che già gli armati come Zacharia Zbedi da Jenin gli dicono che “ci saranno condizioni”. Bene: prima o poi anche Abu Mazen deve pur dare prova di esistere, e se non l’ha data combattendo contro Hamas, ora è la sua occasione di mostrarsi forte. Infine, e il numero sei è il più difficile fra tutti i suggerimenti, che gli europei cerchino di trattenere quel tic, quell’impulso vano per cui si fantastica che quante più concessioni Olmert porterà, quanto più grande sarà la borsa di denaro e lo smantellamento di check point con cui si presenterà, tanto meglio andranno le cose. Non è affatto così. Al contrario: i palestinesi hanno nel corso di questi anni goduto (forse sofferto) di una totale mancanza di richiesta di accountability; il flusso di denaro che li ha raggiunti è immenso; le occasioni avute per fondare lo Stato, molte. Adesso Olmert porterà circa mezzo miliardo di dollari in tasse che appartengono ai palestinesi, porterà la ripresa di contatti col governo di Fayyad se accetta le condizioni del Quartetto, porterà misure di libertà di movimento, l’interruzione della caccia ai terroristi operativi nella West Bank, l’accordo che gli americani forniscano armi a Abu Mazen. Beh, come consiglio numero sette, io consiglierei all’Europa di stupirci tutti e di frenare Olmert dicendogli: fai bene, ma verifica se Abu Mazen può a sua volta mantenere le promesse. E’ abbastanza forte? Lo vuole? Non dimenticare che alle elezioni scorse nelle città della West Bank, Hamas ha preso 30 seggi e Fatah soltanto 12. Ricordati che le armi fornite a Arafat dagli accordi Oslo, sono servite contro Israele. Ricordati che Fatah usa formule religiose per la sua lotta già dalla “Intifada delle Moschee”, che la sua laicità è parziale, che non ha mai detto chiaramente di rinunciare a distruggere Israele. Infine, non è affatto chiaro se la gente delusa dalla perdurante corruzione di Fatah, soggetta da anni a un lavaggio del cervello di stampo jihadista, sia pronta a seguire Abu Mazen. Occorre compiere piccoli passi, chiedere per ciascuno di essi una verifica da parte palestinese e dal fronte moderato: che finalmente si faccia vivo, difenda i palestinesi con realismo e consigli di concordia invece che infiammare gli animi all’odio, come sempre fanno i giornali, la tv, i film, i politici, gli intellettuali egiziani; capiscano che è il tempo di un fronte unito contro i vari Hamas, quali che siano. A Sharm el Scheikh non si andrà i costume da bagno, ma col velo.