GAZA ABU MAZEN SEMBRA DECISO A RIPRENDERSI IL CONTROLLO DELLA STRISCI A ORA NELLE MANI DEGLI ULTRÀ Anp-Hamas, rotta di collisione
giovedì 6 ottobre 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
Sono severi dolori del parto quelli che in questi giorni contrappongono
Fatah ad Hamas e che forse stanno davvero portando Abu Mazen ad affrontare
l'inevitabile guerra contro i suoi estremisti islamici. E sono
sostanzialmente tre le ragioni per cui si è scatenata la battaglia di Gaza
fra le due fazioni trasformatasi successivamente nell'attacco alla sede del
Parlamento nella striscia da parte della polizia di Abu Mazen e adesso in
atto come scontro generale. Tutte e tre hanno un valore epocale: la prima è
certo la causa storica.
Israele se ne va da Gaza, Hamas e la Jihad Islamica cercano di istaurarvi un
regime estremista in alternativa al governo dell'Autonomia Palestinese.
Roghi di sinagoghe, lanci di Kassam, slogan che proclamano la vittoria del
terrorismo, odierna e ventura disegnano subito un'ipotesi opposta a quella
di Abu Mazen: progresso e ritorno alla trattativa. Ma la strategia di Hamas
non funziona: Israele è fuori dai confini, la gente palestinese si accorge
che la continuazione dell'Intifada, serve solo allo scopo di provocare una
durissima reazione dell'esercito, con molti prigionieri e diverse uccisioni
mirate, mentre i coloni non ci sono più . Dentro Gaza, manca il nemico e
seguita la guerra. Hamas ancora tuttavia non si rende conto che la gente
vorrebbe godere della nuova situazione, costruire, vivere.
Seconda ragione: un incidente di lavoro, come lo si chiama in ironico slang,
causa a Gaza lo scoppio dell'esplosivo dei lanciamissili di Hamas e fa 21
morti e 80 feriti. Abu Mazen indica subito il colpevole in Hamas stesso,
mentre Hamas si sbraccia nello scagliarsi contro i soliti « assassini
sionisti» . Ma la verità la sanno anche i parenti delle vittime. Dice Fawzi
Wadee , padre di Salameh, un ragazzino di dieci anni ucciso nella strage: « I
gruppi armati devono smetterla: è cambiato il mio sentimento e anche quello
del popolo» . Il ministro per i detenuti Sofian Abu Zaide, quando, subito
dopo la strage, Hamas lancia su Sderot, nella linea verde, quaranta missili
Kassam in una notte per fingere di vendicarsi, dice: « Hamas spara per
coprire i suoi errori» .
E' il momento in cui, dopo che Israele ha ucciso tre persone nel West Bank,
Abu Mazen giovedì scorso, lancia la sua campagna di raccolta delle armi. Ne
nasce poi la sparatoria di Gaza quando i militari cercano di disarmare
Mohamad figlio di Abdel Aziz Rantisi, leader di Hamas eliminato dopo Yassin,
e ne ricevono pallottole. Qui lo scontro si fa durissimo e tuttavia
consapevole: si conclude la fase « un solo popolo una sola forza armata»
lanciata da Abu Mazen all'apertura della fase dello sgombero, quando ancora
pareva possibile controllare Gaza. Hamas è ormai un nemico dichiarato.
Quando dopo l'uccisione del loro capo i poliziotti di Gaza vengono a
protestare violentemente in parlamento, Abu Mazen dice « adesso il caos deve
finire, avete ragione, non resteremo in silenzio» . e si prepara ritoccare il
governo per renderlo più coeso contro Hamas.
La terza ragione sta nella politica internazionale. Condy Rice comprende che
è il momento di fornire il suo appoggio al processo di pace bloccando Hamas.
E da Princeton qualche giorno orsono fa sapere che se Hamas non disarma e
non rinuncia alla distruzione dello stato d'Israele, non potrà partecipare
alle elezioni palestinesi di Gennaio. Intanto Abu Mazen, che a sua volta
all'inizio aveva concesso a Hamas una discreta sponda estremista,
annunciando, dopo il disimpegno da Gaza, una « grande Intifada» dopo la
« piccola Intifada» , telefona a Sharon alla vigilia del capodanno ebraico
dell’ altro ieri, gli dice che ha desiderio di vederlo che comunque un
incontro è imminente (ieri re Abdallah di Giordania ha anticipato la data,
l’ 11 ottobre). Ovvero: Sharon sente il bisogno di consolidare il recupero
del suo potere e quindi intende muovere avanti. Abu Mazen, che fin qui aveva
valutato che gli convenisse tenere ferma la linea unitaria pensando che con
Sharon alla fine non si sa mai, adesso è comunque costretto ad affrontare
uno scontro effettivo. Per lui la vita (in senso politico e anche letterale)
è seguitare a contare e vincere le elezioni a gennaio; per Hamas e anche per
la Jihad Islamica, ambedue coadiuvate dal supporto siriano e iraniano, è
vero il contario. Sopravvivranno solo se il processo di pace non si apre,
dunque se Abu Mazen fallisce.
La loro vittoria o sconfitta è basilare anche per la strategia americana
della democratizzazione del Medio Oriente e per converso, per la Siria,
l'Iran e i movimenti terroristi, in Iraq in primis. Dunque, scontro grande e
inevitabile, tant'è vero che è stato, pare Abu Mazen a lasciare uscire la
notizia che a Damasco Bashar Assad, sotto il fuoco dell'attenzione americana
per il suo aiuto ai terroristi, ha incitato (e non solo a parole) Hamas e
gli altri a muoversi con attentati, e ha incitato il suo ospite Ahmad Jibril
a trasferirsi a Gaza con il suo Comando Generale del Fronte Popolare. E si
tratta di un terrorista con dozzine di attentati sulle spalle.