Funerali a Gerusalemme con la paura nel cuore Strade deserte, super mercati vuoti, si teme un nuovo attentato
sabato 11 agosto 2001 La Stampa 0 commenti
UNA città di pietra, con uomini dal cuore impietrito dal dolore.
Tombe di
pietra rosa di Gerusalemme, su cui gli uomini depongono non fiori ma
un
piccolo sasso che testimonia la memoria e il pianto, secondo l'uso
ebraico.
Il cimitero di Har Ha Menuhot sta alto sulla collina prospiciente
Gerusalemme. E' una città dei morti sotto il sole battente che il
visitatore
incontra prima ancora di entrare nella capitale d'Israele. Tutta la
città è
circondata da cimiteri, pietre millenarie di cui moltissime a segnare
il
riposo di caduti in battaglia, crociati, musulmani ebrei. Questo
dalla parte
della vallata della Gheenna, a Est. Di qua invece, a Ovest, il
cimitero
moderno la prosecuzione naturale della storia insanguinata di quella
che è
una delle città dal cielo più desiderato del mondo. Accanto a chi
riposa in
pace, morti di attentati, di guerra, di dolore. Ieri la città dei
morti è
stata irrorata di lacrime infinite. Scossa da singhiozzi continui. Un
funerale seguiva all'altro. Un brusio di preghiere, di pianto, di
ricordi di
giovani raccontati fra giovani persino con qualche sorriso, di
indicibili
strazi di genitori per ore ha costruito un lamento senza soluzione di
continuità .
A partire dalle ore notturne , è stato tutto uno scavare nella terra
riarsa,
seppellire adulti e neonati, cittadini da molte generazioni e ebrei
convenuti adesso dai quattro angoli del mondo per far coraggio a una
città
sotto assedio da troppo tempo. Terribile è stato vedere una bambina
di dieci
anni che sotto il sole battente seguiva il funerale dei suoi genitori
e di
tre fratelli, Raya di 14 anni, Avraham di 3 e Hemda di 2, quasi
l'intera
famiglia Schijueschuurder, giovani olandesi immigrati in Israele
all'inseguimento dei loro ideali solo tre anni fa. Haja, l'altra
sorellina
rimasta in vita, versa in condizioni gravi . Mentre il sindaco di
Gerusalemme Ehud Olmert ripeteva ancora quanti attentati erano stati
sventati in questi giorni, e di come l'impegno non era bastato contro
l'odio
furioso e cieco, mentre il presidente Moshe Katzav parlava fra i
singhiozzi
degli astanti denunciando la viltà dell'attentato palestinese, e
Avraham
Burg giurava « non ci spezzeranno» , accanto si scavavano
contemporaneamente
altre due tombe.
Poco dopo sarebbe giunto un altro tragico corteo, quello per Lily di
31 anni
e Tamara Shimshishvili di 8, madre e figlia, anche loro da poco
immigrate
dalla Georgia. Al marito avevano detto per telefono solo della
moglie: che
anche la bambina era stata uccisa hanno avuto il coraggio di
comunicarglielo
solo una volta all'ospedale. Le donne georgiane col fazzoletto in
testa si
buttavano sui corpi senza vita delle due uccise, le urla strazianti
dei
familiari e delle compagne di scuola di Tamara spezzavano le pietre.
Anche
intorno al corpo di Michal Raziel di 15 anni, una folla attonita di
compagne
di scuole non cessava di piangere, di stupirsi: « Ci ho parlato al
telefono
ieri mattina» diceva un'altra fanciulla, « non posso credere che
Michal non
verrà più a fare i compiti con me» .
Yudith Greenboim americana di 31 anni, era venuta a trovare dei
parenti e a
testimoniare il suo affetto per Israele in tempi duri, come fanno
molti
ebrei. Lo zio non smetteva di raccontare come il corpo della giovane
donna
gli si fosse buttato in difesa, e gli avesse salvato la vita. E
ancora, e
ancora: l'attivista del Meretz, il partito pacifista, Zvika Golombek,
ucciso
a 26 anni ha avuto invece un funerale di attonito silenzio, denso di
lacrime
silenziose per la sua vita stroncata, per la pace svanita, per la
crudeltà
dei terroristi palestinesi. Il padre, anche lui del Meretz, cercava
di
invocare la pace con voce fievole, e gli usciva un « come faremo senza
di
lui» .Era venuto a Gerusalemme col figlio per incontrare i genitori
della
fidanzata di Zvica, Na'ama.
Gerusalemme è stata tutta ieri una propaggine di Har Ha Menuhot. Le
strade
sono rimaste semivuote. I supermarket, in cui ad ogni venerdì le
famiglie si
affollano per gli acquisti del giorno di festa e mettono sul carrello
la
bottiglia di vino per la benedizione del sabato e il pollo da fare al
forno,
erano troppo invitanti per un terrorista suicida perché la gente vi
facesse
la spesa. Vuoti. Vuoti i caffè i cui è tradizione che gli amici
bevano un
caffè insieme prima di passare il fine settimana con i propri cari.
Il
semaforo che ai quattro angoli dell'incrocio fra Rehov Jaffo e King
George,
dove il terrorista ha fatto tanta strage, seguitava a lampeggiare su
un
paesaggio urbano rimesso in fretta in ordine, le strisce
riverniciate, il
sangue lavato, le insegne ripristinate. Ma transitava un traffico
rallentato, rado, apparentemente immotivato.
Nei negozi di jeans, dal libraio, il fotografo accanto a Sbarro (« the
best
italian choice» recita un'ormai lugubre pubblicità ) sono come rimaste
ferme
al momento dello scoppio. Così un po' l'intera città , che respira a
stento a
attende altri attentati. Gerusalemme è cinta d'assedio, come tante
volte
nella sua storia. La gente langue, gli ebrei vedono la loro vita in
forse
nello svolgersi della quotidianità . All'angolo di via King George
Pinati, il
venditore di Falaffel, frigge le tradizionali polpette vegetali da
mangiare
con l'humus. « Che ci stavo a fare a casa? Il mio posto è qui, ognuno
di noi
ha il suo posto da difendere» . Come tante volte, nella storia.