Forza spietata contro il male
Il Giornale, 23 agosto 2017
Abbiamo speso fiato e articoli negli anni prima del 2001, a spiegare l'esistenza e la natura del terrorismo: era dura. Freedom fighter, "combattenti per la libertà" venivano chiamati i terroristi, e "compagni che sbagliano". Più avanti, specie dopo l'11 di settembre, la parola "terrorista" è stata infine sillabata, anche se è rimasto facile scrivere "tre israeliani e tre palestinesi morti" anche quando i secondi tre avevano assalito le loro tre vittime con mitra e coltelli. Ed è venuto il tempo dell'impronunciabile espressione "terrorismo islamico": è difficilissima, in tutte le lingue. I terroristi sono diventati "lupi solitari", talvolta hanno problemi psicologici o sono "emarginati", a volte si sono causalmente "radicalizzati", così come per un virus.
L'Islam, secondo molti interventi, non è in sé responsabile, anche se non si dice più tanto che sia "una religione di pace"; ma è pericoloso, si ripete, solo nella sua interpretazione "radicale", "fondamentalista" o "politica", ciò che lo rende un rischio eventuale, ma non istituzionalizzato, anche perché "ogni religione" secondo gli innumerevoli avvocati difensori "ha i suoi fondamentalisti", i suoi terroristi.
E' poetico, patetico, e anche molto preoccupante. E' segno di una difficoltà che il nemico misura. Un mio amico dell'estrema sinistra israeliana: "Lo so che se gli do tutto quello che chiedono, terra, armi, diritti, mi uccideranno. Ma preferisco morire piuttosto che abbandonare le mie regole di non violenza". E' una scelta personale apprezzabile, ma stavolta invece investe un mondo, una civiltà che si è ritrovata in guerra.
Eppure è evidente a chiunque ne sappia un po’ che l'Islam, anche se la parte aggressiva è propria delle punte crudeli, è inintegrabile perché è una civilizzazione: la religione ne è una parte, ma esso è una concezione della vita politica, sociale, familiare, non si può qui separare la Chiesa dallo Stato.
Il dialogo non è in vista: la parte dei musulmani che non è d'accordo con la violenza, e certo è numerosa, non ha però la forza politica per contrapporsi all'intimidazione sempre più di massa, e l'Occidente è troppo timido per proteggerla. Bisogna chiudere con le illusioni dettate dall'ignoranza: la jihad non è affatto un concetto spirituale, per chi conosce il Corano è una lotta molto concreta per la redenzione messianica del mondo dagli infedeli; è un mito accertato la passata tolleranza del mondo islamico, i dhimmi cristiani ed ebrei sono sempre stati trattati come inferiori e peggio; per l'Islam il patto e la sincerità valgono solo se favoriscono i fedeli; i segnali di acquiescenza e di apertura vengono interpretati come un segnale di debolezza; le percentuali di fedeli che nei Paesi islamici esigono la sharia sono maggiori di quelli che vorrebbero un amichevole arrangiamento col mondo secolare; il wahabismo, l'Islam sunnita estremo cresce ogni giorno, e il mondo sciita capeggiato dall'Iran avanza.
La minaccia è grande anche perché i giovani di seconda generazione, con documenti in regola, sono in crescita, e le loro moschee si organizzano. Per una situazione così complessa occorre una guerra di trincea e una di movimento; e ci vuole una classe dirigente decisa, forte, orgogliosa della lotta che sta combattendo per salvare i propri figli e la propria terra. Una classe dirigente non snob, ma realista. Che sia pronta a infliggere uno shock ai nemici, come sempre nella storia quando si vuole vincere. Solo con la forza si piegherà il terrorismo islamico.
Bell'articolo!