Forse un siluro a Khatami l'attacco agli ebrei (23 mila persone) Talm ud e complotti in Iran Giallo dietro l'arresto delle 13 "spie"
domenica 13 giugno 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Povero deputato iraniano ebreo Manucehr Elyasi, "rappresentante al
Parlamento iraniano della Comunità ebraica": le sue parole
ricordano troppi, inutili tentativi di accattivarsi un'autorità
inesorabilmente ostile. Nella sua intervista al quotidiano iraniano
"Entekhab" dice: "I rapporti con le autorità iraniane sciite sono
ottimi... Non vi è alcuna relazione tra l'arresto dei tredici
ebrei sospettati di spionaggio e la loro fede religiosa". Questo,
mentre da alcuni giorni tutto il mondo protesta per la sparizione,
avvenuta ormai nel mese di aprile, di tredici ebrei iraniani delle
città di Isfahan e soprattutto di Shiraz e la loro successiva
incriminazione per spionaggio: "Tredici spie che hanno lavorato per
i Sionisti sono state arrestate con l'aiuto della nobile gente
della provincia (di Fars, ndr) in collaborazione con i Servizi
segreti", ha dichiarato un dirigente dei Servizi stessi all'agenzia
di stampa statale Irna. È poi seguito un comunicato del ministero
degli Esteri, che ribadisce che gli iraniani faranno quello che
vogliono con le spie, anche se sarà necessario comminare la pena
di morte.
Shiraz è nel cuore verde della più profonda Persia: la comunità
ebraica vi abita da più di 1500 anni. In tutto l'Iran pare vivano
27 mila ebrei, poco meno di quelli della comunità italiana; tanti,
dunque, se si considera l'evidente impervietà politica del luogo.
Ma pochi, se si pensa che al tempo dello Scià erano circa 100
mila. È una comunità di gente molto religiosa e intensamente
orientale: la sua lingua è un giudaico-parsi, i suoi canti in
ebraico (lingua oggi vietata) sono modulati su armonie locali.
Anche i cibi, benché cucinati alla maniera rituale ebraica,
appartengono dalla notte dei tempi alla stessa tradizione. Nei
secoli, gli ebrei persiani hanno vissuto in situazioni assai
difficili: "Sono stati rinchiusi nei ghetti, spogliati dei loro
beni, cacciati vai" racconta l'ambasciatore Reuven Merhav, uno dei
maggiori esperti israeliani di politica mediorientale, diretto
conoscitore della comunità ebraica iraniana, "poi hanno avuto un
periodo piuttosto felice, da quando il padre dello Scià Reza
Pahlevi li dotò di diritti paritari e li fornì di un
rappresentante in Parlamento. Certo, non li ammise negli alti
ranghi dell'esercito, né se ne trovavano fra gli alti ufficiali
dello Stato. Ma erano invece presenti nelle università e nelle
professioni liberali. Mediamente, tuttavia, si è trattato sempre
di una comunità povera, qualche commerciante di tappeti, molti
lavoratori dipendenti. Dopo la caduta dello Scià , rimase loro solo
la libertà religiosa, che è declinata alquanto sino a diventare
un nuovo ghetto".
Di fatto, l'arresto dei tredici e la loro detenzione nella città
di Shiraz (così sembra, ma tutto è incerto), è il compimento di
una politica di umiliazione dei "Dhimmi" ebrei ovvero, come comanda
il Corano, dei credenti (insieme ai cristiani) delle religioni
monoteiste che l'islam deve sottomettere ma anche attivamente
proteggere. Shimon Hatsav, capo dell'organizzazione degli iraniani
in Israele, racconta: "Le scuole ebraiche sono state proibite
recentemente, ma lo Stato provvede alla scuola pubblica rabbini che
insegnino anche la religione ebraica. L'idea guida è che un regime
islamico religioso debba fornire educazione religiosa per tutti".
Ma l'ebraico in quanto lingua è vietato, e alcuni degli arrestati
sono appunto accusati di averlo insegnato. Le sinagoghe sono state
decimate: a Teheran ce n'erano venti prima della rivoluzione, e
oggi sono solo cinque o sei. Il giornale della comunità , "Tammuz",
è stato chiuso nel '91: osò criticare la chiusura delle scuole.
Inoltre gli ebrei, uomini e donne, sono obbligati a indossare
l'abbigliamento islamico. Gli studenti devono andare a scuola di
sabato; e dato che tutti i cittadini iraniani sono sottoposti a
restrizioni di movimenti, gli ebrei a maggior ragione non possono
andarsene. Tuttavia, circa mille ebrei l'anno riescono a prendere
la strada d'Israele o degli Usa. Sembra che fra gli arrestati
alcuni organizzassero la propria partenza.
In aprile Israele, conosciuta la notizia della detenzione, sperò
che con le armi della discrezione diplomatica e l'aiuto
dell'Europa, in particolare della Germania e dell'Italia, la cosa
sarebbe stata risolta; ma il motivo basilare dell'arresto per
spionaggio e della minacciata pena di morte (alquanto verosimile)
è la volontà di Alì Khamenei, l'ayatollah che si oppone al
potere del moderato Kathami di situare l'Iran su una linea di
ribadita contrapposizione all'Occidente. Khatami, visitato da
Anjoman Kalimiman, l'organizzazione ebraica di Teheran, ha detto
che "si informerà " sulla sparizione dei tredici. Ma il professore
di studi iraniani Amnon Netzer, immigrato in Israele negli Anni 50,
scuote la testa: "Khatami non ha nessuna possibilità d'intervenire
per la salvezza degli ebrei: ricordate che solo alcuni mesi fa ha
subito l'assassinio di alcuni intellettuali suoiamici senza poter
reagire? L'estremismo è fortissimo".
C'è qualche possibilità che gli ebrei incriminati siano
veramente delle spie? "Nessuna al mondo - dice Merhav -, si tratta
di gente semplice, che conosce solo la strada da casa alla sinagoga
e al proprio piccolo lavoro. Gente che non ha nessun accesso alle
fonti d'informazione, che sopravvive nella periferia di un regime
che li tollera appena". L'Italia, la Germania e la Francia, in
quest'ordine dicono gli esperti, sono i Paesi che più possono
contribuire a salvare la vita degli ebrei incriminati.