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Fischer « pessimista» dopo aver visto Arafat Il ministro tedesco ha imposto il cessate il fuoco al Raí ss

lunedì 4 giugno 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Dal fondo della passione e della rabbia che lo portò a essere un leader del duro ‘ 68 tedesco, Joschka Fischer ha attraversato la crisi mediorentale a grandi passi decisi. Magrissimo, vestito di blu, con i capelli bianchi sempre scapigliati dall'agitazione e dalla fretta, il ministro degli esteri tedesco - protagonista di uno di quei paradossi che la storia è capace di inventare - è stato travolto dalla strage di ebrei che sabato notte ha insanguinato la spiaggia di Tel Aviv. Dopo una prima visita ad Arafat il venerdì , già angosciato dall'impossibilità a convincere il Raí ss palestinese a ordinare il cessate il fuoco, Joschka si è rifugiato all'Hotel Dan Panorama di Tel Aviv, sulla linea della spiaggia. Dal lungomare, fino a poco prima di mezzanotte, le prime ore di riposo sono accompagnate dalle musiche che provengono dai caffè e dalle discoteche, dagli scherzi dei ragazzi israeliani che cercano di dimenticare nella sera del fine settimana l'angoscia di questi giorni. Poi, a mezzanotte meno un quarto, il ministro tedesco diviene quasi testimone oculare del più terribile fra tutti gli attentati dell'intifada di Al Aqsa: l'ex capo degli studenti tedeschi, ex guidatore di taxi e intellettuale irridente che incarna la salita al potere della classe che a suo tempo il potere lo voleva tutto per la fantasia, si trova immerso nel bagno di realtà , nella verità senza travestimenti di parole del conflitto mediorentale: sangue ovunque, ragazzini mutilati e urlanti, morti dappertutto, trenta ambulanze urlanti che con le loro luci rutilanti illuminano a tratti l'opera del terrorista suicida di Hamas. Fischer non dorme: per prima cosa la mattina, col viso stravolto dal dolore e forse dal rimorso per non avere finora capito a fondo, va con un mazzo di fiori bianchi fino al Dolphinarium, fino alla porta della discoteca, alle sue mura macchiate di sangue. E' cupo in volto e questa sorta di profonda rabbia contrassegna la sua espressione finchè decide di visitare di nuovo Arafat: l'immaginazione è di nuovo al potere. Qui, Fischer ha letteralmente costretto il Raí ss, pare scrivendogli parola per parola la parte del discorso in cui condanna l'attentato, a dichiarare il cessate il fuoco. Accanto a lui Terje Larsen, l'inviato di Kofi Annan in Medio Oriente. Come due severi angeli custodi, Fischer e Larsen non lasciano il fianco di Arafat finchè l'annuncio non è stato diramato. E in arabo, non in inglese. Fischer, racconta chi c'era, ha usato ogni arma per convincere Arafat: gli ha anche detto che, se non avesse immediatamente ordinato il cessate il fuoco, ogni aiuto economico tedesco sarebbe stato sospeso. Quando Fischer esce dall'incontro con Arafat, tuttavia, non ha l'aria soddisfatta: è « sconvolto e pessimista» , e lo dice. La delegazione tedesca, racconta una fonte diplomatica, esce dal colloquio con la netta sensazione che « Arafat non sappia che cosa sta facendo» . Avrebbe detto Arafat a Fischer, non si sa se durante il primo o il secondo incontro: « Siamo storicamente due grandi generali, la differenza fra noi è che io non ho perso nessuna guerra» . Ma non basta: la dichiarazione più stupefacente Arafat la fa proprio quando Fischer, ragazzo cresciuto nella Germania intenta a fare i conti col passato nazista e poi attraversata dal terrorismo, gli domanda se non si senta personalmente toccato dalla spargimento di sangue e « non sia sinceramente pronto a prendere le distanze dal terrorismo» . E Arafat gli risponde: « Lei mi vuol dire che la dissociazione dei tedeschi dall'Olocausto è davvero sincera?» . Ieri Fischer ha visitato Sharon per invitarlo alla calma, mentre Israele - per la prima volta da anni, forse da quando De Gaulle dichiarò nel ‘ 67 un embargo che portò Israele a un rischio estremo - parlava di un ruolo positivo dell'Europa nell'aiutare il Medio Oriente a ritrovare, forse, la strada delle trattative. Da anni l'Europa infatti ha svolto, specialmente la Francia, un ruolo che gli israeliani hanno ritenuto parziale e inattendibile. Adesso Fischer, forse sull'onda dei sentimenti, è riuscito a far compiere ad Arafat quella svolta che si pensava soltanto gli Stati Uniti potessero imporre con la loro potenza. Forse è solo un momento, ma l'Europa adesso gioca di nuovo un compito importante. Se riuscirà a mantenere una posizione antiterrorista senza compromessi, anche se Israele combatterà Hamas e la Jihad, Arafat (molto sensibile ai suoi partner europei) capirà che l'appoggio europeo alla nascita di uno Stato palestinese proibisce che la battaglia si colori dell'attuale spinta distruttiva. Sarà una svolta per il Medio Oriente e anche per l'Europa. Probabilmente è stata proprio la dimensione personale del tedesco Fischer, che fa i conti col passato, a restituire alla politica europea una forza inaspettata.

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