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Fiamma Nirenstein e il futuro possibile di Gerusalemme

mercoledì 14 marzo 2012 Generico 1 commento

Avvenire, 14 marzo 2012 di Anna Foa

Un libro, questo ultimo di Fiamma Nirenstein, che è un percorso spezzato fra personale e politico, tra le emozioni disvelate con coraggio, il viaggio nelle strade e nei quartieri della città e appassionata difesa del suo carattere ebraico e in generale della politica dello Stato d’Israele. Potremmo definirlo, seguendo le suggestioni dell’autrice, il racconto di un innamoramento , quello di Fiamma Nirenstein per Gerusalemme, un innamoramento prima contrastato per l’appartenenza alla sinistra italiana e il divorzio fra la stessa sinistra ed Israele -siamo nel 1967, epoca della guerra dei Sei giorni e preludio in Europa al Sessantaotto- e poi trasformatosi in amore saldo e profondo. In questo sentimento tutti i segmenti della sua vita e della sua identità appaiono confluire e saldarsi: dall’amore per la famiglia, il padre Alberto, polacco, sionista socialista, combattente nella Brigata Ebraica, la madre, Wanda Lattes, staffetta partigiana, le sorelle, il figlio Beniamino e poi, molto presente nel libro, il marito Ofer, vero gerosolimitano, che le ha fatto capire più a fondo l’anima della città; alla politica, in cui ella si è immersa passando attraverso il giornalismo e che ora la vede vicepresidente della Commissione esteri della Camera ed espressione, attraverso i suoi interventi, della più salda difesa d’Israele.

Il libro spazia fra tutti questi temi, racconta incontri e famigliarità con personaggi importanti della politica e della cultura d’Israele, da Teddy Kolleck a Shimon Peres, da Grossman a Yehoshua, descrive rapporti complessi con gli arabi israeliani e polemizza aspramente sull’antisemitismo dei Paesi arabi e dei palestinesi , sulla loro negazione del carattere ebraico della città, sul futuro di Gerusalemme. Gerusalemme deve infatti restare indivisa, scrive, perché Israele, in quanto unico Stato democratico del medio oriente, è l’unico a garantire la convivenza e la libertà di culto delle tre religioni monoteiste. Gli ebrei non si mai davvero allontanati da Gerusalemme e non vi hanno fatto ritorno, scrive ancora, ma vi sono rimasti nei secoli, proclamazione in questi termini forse eccessiva ma non priva di una parte di verità. Una visione che si unisce ad una dura negazione della diaspora, vista non come un arricchimento e una possibilità, ma con un grigio esilio. Si può, come me, non essere d’accordo su questa e su altre affermazioni dell’autrice , ma non si può non essere colpiti dalla suggestione delle pagine dedicate alla città oggetto del suo amore, dalle descrizioni dei quartieri, dei  caffè, dei cinema, della vita gerosolimitana, dalla narrazione di come la città si è ampliata a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, uscendo dalla cerchia della Città Vecchia e divenendo sempre più ebraica. Una città che riprende vita, si estende, diventa centro di diverse immigrazioni, di conflitti, aperture al mondo e alla modernità.  Alla vita e alla storia, insomma.

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Sergio , Torino
 venerdì 16 marzo 2012  02:03:36

Un'estremista di sinistra che pubblica scritti nient'affatto lusinghieri su un giornale cattolico non noto per simpatie per Israele... Poco di nuovo nell'antipatia per Israele dei catto-fascio-comunisti.Persino un antisemita come Carl Marx (vedi http://tinyurl.com/8357hax ), quando era corrispondente del New York herald Tribune non potè fare a meno di notare in un suo articolo come nel 1854 gli Ebrei fossero IL DOPPIO dei musulmani a Gerusalemme (vedere: http://tinyurl.com/6utgens ), dove erano SEMPRE stati presenti nei secoli, visto che è il centro della religione ebraica, mentre non è menzionata neppure una volta nel Corano (vedi http://tinyurl.com/29lxcg4 e http://tinyurl.com/69tk57 ).L'unico periodo in cui gli Ebrei NON POTEVANO essere a Gerusalemme e non ne furono la maggioranza, fu quando i crociati proibirono la residenza agli Ebrei.



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