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FEISAL HUSSEINI MINISTRO DEI PALESTINESI PER GERUSALEMME « Sempre pr onti a negoziare purché tornino i profughi»

venerdì 5 gennaio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME FEISAL Husseini è il ministro di Arafat per Gerusalemme: la sua classe e il suo aplomb britannico sono classiche delle famiglie arabe aristocratiche della Città Santa. Fra queste, quella Husseini è una famiglia guerriera: il padre di Feisal, Abd al Kadr, era il comandante ucciso nella mitica battaglia del Castel, sulla via di Gerusalemme, nell’ aprile del 1948. Il ritratto del padre col fucile in mano campeggia nella casa di Feisal a Gerusalemme Est, per gli arabi Al Quds, e si può immaginare che proprio dalla sconfitta del suo glorioso padre Feisal tragga la sua inflessibile determinazione all’ affermazione dei diritti palestinesi. E’ il fondatore della Orient House, lo stratega della politica per Gerusalemme, un capo riconosciuto, una personalità piuttosto unica nel mondo palestinese: pacato e duro. Appare piuttosto soddisfatto della nuova apertura verso un eventuale processo di pace, e mostra un insolito buon umore. Dopo tanti scontri la via del negoziato è di nuovo aperta, o è un’ illusione da cui presto dovremo risvegliarci? « Siamo sempre stati pronti a un negoziato sulla base di un ritiro degli israeliani dalla West Bank entro le linee del ‘ 67, compresa Gerusalemme che è la nostra capitale...» Questi temi sono sul tavolo delle trattative. La proposta Clinton non corrisponde esattamente a questo slogan, tuttavia Arafat ha dato un assenso di massima. E’ un vero assenso? « Per ora è un segnale di volontà di pace, un assenso condizionato. Abbiamo presentato tutte le nostre obiezioni» . Che sono numerosissime. « Le obiezioni sono quelle che devono essere, sono i punti per noi importanti, indispensabili, quello che serve perché si possa giungere un accordo. Comunque, si spera di entrare presto in negoziati» . C’ è un punto che per gli israeliani non è negoziabile: quello che afferma il diritto al ritorno dei profughi. I ministri degli esteri arabi riuniti al Cairo lo hanno chiamato « un diritto sacro» , ma è il tema che più di Gerusalemme può scatenare la guerra. « Anche per i profughi noi chiediamo di restare nella legalità internazionale, stabilita dalla risoluzione 194 dell’ Onu» . Si tratterebbe tuttavia di una contraddizione: fondate lo Stato con capitale Gerusalemme, e invitate i profughi ad andare a stare in Israele. « Prima di tutto chiediamo il riconoscimento del loro diritto al ritorno: è indispensabile capire che queste persone hanno tanto sofferto e devono godere della possibilità di una libera scelta. Quanto alla realizzazione pratica del riconoscimento, essa è un argomento di dibattito, una questione di cui conosciamo la delicatezza rispetto ai tempi e ai modi della sua realizzazione pratica» . In realtà dunque lei dà segno di una maggiore negoziabilità . « Non per il diritto, ma per la realizzazione» . Un grande problema che avete di fronte è il consenso del vostro stesso popolo. Arafat non si troverà di fronte una popolazione infuriata, nel momento in cui dovesse annunciare di aver raggiunto un accordo col nemico? « Non credo che il popolo sia contro Arafat. Al contrario: nel momento in cui saremo in grado di portare degli eventuali risultati concreti, la gente sarà certamente disposta ad apprezzare la pace» . Non crede che occorra un cessate il fuoco, per trattare? E’ la base di ogni manuale di strategia. Non si tratta sotto il fuoco. « Le attività sul terreno potranno cessare solo nel momento in cui saranno stati raggiunti risultati tangibili. La situazione è molto tesa, non dimentichi che abbiamo sofferto molte perdite, molte violenze» . Ma se non ponete un freno alla violenza prenderanno sempre più forza i movimenti come Hamas, gli integralisti islamici, che di certo spingeranno alla continuazione del conflitto con gli attentati terroristici. « Anche Hamas, quando vedrà che abbiamo saputo difendere anche i suoi diritti, sarà con noi» . Lei, in questa fase, è soddisfatto di come avete condotto il conflitto? Non le sembra che vi scappi di mano? « Abbiamo pagato un prezzo molto alto in termini di morti e feriti, ma direi che adesso ciò che occorre per giungere a una pace reale appaia più realisticamente al mondo intero. La nostra forza è la nostra determinazione nel sostenere un’ eventuale trattativa. Anche questo è frutto di questa Intifada» .

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