FATAH, IL PARTITO DI ABU MAZEN, DECIDE DI STARE FUORI Hamas da sol o nel governo Anp Non partecipano neppure i gruppi minori come l'estremis ta Fplp
sabato 18 marzo 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Il Fatah di Abu Mazen ha troppi guai di suo per accettare anche quello di
far parte di un governo guidato da Hamas. Non ci stanno neppure i partiti e
i gruppi minori, come l'estremista Fronte Popolare per la Liberazione della
Palestina, o il gruppo Terza Via di cui è parte l'onesto economista Salam
Fayad cui Hamas si è rivolto con offerte, respinte, di ministeri importanti.
Hamas è isolato, mentre il mondo seguita invano a chiedergli di riconoscere
Israele, di abbandonare la lotta armata, di attenersi agli accordi
precedenti al suo avvento al potere. Ma la linea non è cambiata, e Abu Mazen
ha ricevuto dei « no» alle condizioni poste per entrare al governo. E così
oggi Ismail Hanje gli presenta una lista di nomi per il governo in cui non
figurano nient'altro che uomini suoi. Hanje ha già avvertito che se per caso
il presidente dovesse respingere la proposta, lunedì egli la riporterà al
Consiglio Legislativo. Un segnale di solitudine, di scontro interno, di
sospetto reciproco, e soprattutto una mancanza di avallo che mette Hamas in
difficoltà di fronte ai rapporti e ai finanziamenti internazionali.
Ismail Haniyeh, per cercare di ammorbidire l'immagine di una Autorità
Palestinese in mano di un'organizzazione terrorista, prosegue sulla linea
delle liste elettorali adornate di nomi di professionisti e esperti: sedici
dei suoi ministri, dice, non sono deputati, ma tecnici. Tuttavia quattro dei
ministeri cruciali sono stati assegnati a leader di Hamas molto noti, come
Mahmoud a Zahar, il portavoce della linea più aggressiva
dell’ organizzazione, che rifiuta l'esistenza dello Stato di Israele e loda
gli shahid e la lotta armata. Dovrebbe diventare ministro degli Esteri.
Un altro irriducibile sostenitore dell'Islam più estremo, lo sceicco dalla
barba color fiamma Mohammed Abu Tir, avrà il portafoglio per Gerusalemme e i
prigionieri. Hamas alla vigilia del nuovo compito lancia messaggi sia in
arabo che in inglese, secondo la sperimentata tradizione di Arafat. E sono
molto diversi: in inglese, Ismail Haniyeh ha detto giovedì alla rete
americana « Cbs» che spera, un giorno, nella pace con Israele; che ha le mani
nette dal sangue degli attentati; e che non permetterebbe mai a suo figlio
di diventare un terrorista suicida. Khaled Mashal, il leader che risiede a
Damasco ha invece dichiarato - durante un incontro in memoria di un leader
palestinese deceduto - che « il potere è solo un mezzo per Hamas (...) non ci
terrà lontano dai nostri obiettivi (...) noi e i sionisti abbiamo un
appuntamento col destino (...) se vogliono lo scontro, siamo pronti, se
vogliono la guerra, noi siamo i figli della guerra (...) chi mette in piedi
uno Stato prima di aver liberato la terra perde patria e terra. Noi abbiamo
più resistenza di Israele e lo sconfiggeremo con l'aiuto di Dio» .
Abu Mazen, dopo la terribile umiliazione subita dai suoi poliziotti in
mutande durante l'assedio israeliano alla prigione di Gerico, è assediato
anche da una gran parte dei suoi perché si dimetta e lasci posto a una
leadership più dura che regga il confronto con la gestione Hamas. In questi
giorni, la preoccupazione maggiore per Israele è un segreto ritorno alle
armi del Fatah che vuole prendere il posto di Hamas occupato col potere e
riconquistare il cuore della popolazione sul terreno degli attacchi
terroristi, cioè la strada che ha portato Hamas alla vittoria. Il terreno
scotta, con Hamas solo in vetta e Fatah offeso e libero dai gioghi che il
potere, almeno formalmente, gli imponeva. Se Hamas volesse astenersi dal
terrorismo per un po', Fatah è per strada di nuovo.