Fassino da Arafat: provato ma deciso alla pace Il segretario ds v isita Ramallah: il compito di eleggere i leader spetta ai palestinesi
venerdì 5 luglio 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Sotto un gran sole, a Ramallah, Piero Fassino, il segretario dei DS,
ieri si
è impolverato alquanto le scarpe nella sua visita ad Arafat, fra le
rovine
di Muqata: i giornalisti abbandonati fuori del compound simile ormai
ad
un'antica rovina semitica; i soldati israeliani, la mamma sul
telefonino,
gli ordini strettissimi di non lasciare entrare altro che i
diplomatici, che
per consolazione ci offrivano un po' d'uva; i mezzi corazzati tutto
intorno,
mucchi di spazzatura e cani randagi sotto i fichi impolverati. L'aria
era
quella, raccolta e sobria, di una visita a un caro malato, ormai
grave, le
cui condizioni non si discutono con gli estranei, e in fondo non si
rivelano
volentieri neanche a sé stessi. Fassino aveva trascorso alcuni giorni
di
incontri intensivi parlando con i ministri laburisti del governo
israeliano,
con l'opposizione, con vari intellettuali e politici palestinesi:
« Tutti
vedono il bisogno di pace, nessuno sa come tornare alla trattativa.
La
mancanza di fiducia reciproca è enorme» , dice Fassino. E poi, Arafat.
« L'ho
trovato provato, anzi, prostrato, ma determinato - ha detto,
ottimista,
Fassino - a cercare la pace, la convivenza, e pronto ad ammettere che
il
terrorismo deve essere fermato e che il suo impegno principale è
questo. E
anzi, ha istituito nuovi sistemi di controllo sui fondi provenienti
dall'estero» .
Ha poi aggiunto il segretario dei ds: « Anche sul discorso di Bush è
stato
piuttosto positivo, perchè ripropone una soluzione legata al ritorno
degli
israeliani ai confini del '67. Quanto alle riforme e al ricambio del
personale noi pensiamo che ogni popolo scelga i suoi leader, e che
questo
compito spetta ai palestinesi stessi» .
La cornice delle posizioni di Fassino è cauta, equilibrata, da una
parte
molto preoccupata e, poiché Fassino è uomo sincero, anche addolorata
per
« l'incubo del terrorismo» , per il quale « non trova nessuna
giustificazione,
né spiegazione accettabile» . E dall'altra parte, Fassino punta il
dito sugli
insediamenti nei Territori. In una parola, Fassino vorrebbe che gli
israeliani dessero segni di alleggerire la situazione palestinese (di
fatto
hanno lasciato di nuovo entrare 5000 lavoratori dall'Autonomia, e
hanno
sollevato per varie ore la popolazione di tutte le città dal
coprifuoco),
che avviassero un accordo di pace, e che Arafat battesse il terrore e
disegnasse un progetto di pace da cui sia escluso il diritto al
ritorno,
scoglio insormontabile per la pace. Ma mentre Fassino, con
moderazione e
senso della misura dava ai giornalisti assetati la sua linea e
notizie di
Arafat, intorno, nella povere di Muqata, si disegna un mondo diverso:
dal
discorso di Bush (otto giorni fa) la « delusione» circa il ruolo di
Arafat è
stata denunciata da americani ed europei, e anche chi ripete che
« Arafat è
il leader eletto dei palestinesi» dietro le scena cerca di
individuare chi
sarà il suo futuro sostituto; il terrorismo è bloccato dentro le
città
palestinesi dall'esercito israeliano che le occupa, mentre Fatah e
Hamas
seguitano a tempestare di minacce e qua e là si scoprono i
preparativi a
base di cinture esplosive contro cui Arafat non può o non vuole
intervenire;
il palcoscenico palestinese è animato sia dalle rivolte del pane di
Gaza, in
cui la gente protesta in piazza contro la corruzione del regime. E
soprattutto, si apre la vicenda di Jibril Rajub. IL capo della
polizia del
West Bank ha provato a dire un « no» secco a Arafat che lo
defenestrava, e i
suoi si sono detti pronti a difenderlo con le armi; adesso, a causa
di
chissà quali manovre, minacce, scontri, Rajub si è dichiarato un
soldato
fedele che però pensa « che si debba cominciare, nella riforma, dai
funzionari di governo e dai politici corrotti» . In realtà , Rajub è
fra i
pochi leader che non sia coinvolto in azioni centrali di terrorismo:
è
quindi difficile capire perché Arafat, rispondendo alle richieste di
Bush di
riformare l'autonomia, abbia cominciato proprio da lui.