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Eros, filosofia, ipocrisie: un libro ricostruisce la passione tra i due pensatori Heidegger & Arendt l’ amore vampiro

venerdì 15 settembre 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein DI tanti romanzi in cui la subornazione affettiva di una donna diventa un tratto dominante della sua vita stessa, uno dei più impressionanti è la storia vera, scritta in modo volutamente freddo e persino nudo, da Elzbieta Ettinger per Garzanti di Hannah Arendt e Martin Heidegger. Il sottotitolo in copertina, sotto la foto più commovente della grande filosofa come fanciulla intellettuale ridente e indifesa di fronte alla storia che stava per gettarle addosso la persecuzione hitleriana antisemita , è « una grande storia d’ amore» . Triste ma vero. Hannah incontrò Heidegger nel 1924, quando lui era agli esordi del suo fascino filosofico-accademico e lei una studentessa diciottenne pronta a farsi folgorare dal genio e anche dalla melensa pomposa corte alla tedesca che Heidegger non lesinò né a lei né a svariate altre donne, nel mentre seguitava a vivere con una moglie, Elfride, che (contrariamente all’ immagine che lui cercava di esportare, quella di una coppia stretta in un’ inevitabile convivenza) fu la vera ispiratrice della sua vita, oltreché una delle maggiori sostenitrici e dame di corte di Hitler. Heidegger quando sedusse Hannah stava già portando a termine Essere e Tempo. Così raccontava Karl Lö with: « il viso di Heidegger è difficile descriverlo, perché egli non riusciva mai a fissare direttamente negli occhi qualcuno... se lo si costringeva a parlare guardandolo direttamente, la sua espressione si faceva ermetica e insicura perché era incapace di rapporti stretti con gli altri... La sua espressione naturale era sempre di diffidenza circospetta, da contadino furbo... di solito indossava calzoni alla zuava, una sorta di giacca da contadino della Foresta Nera con ampi risvolti e un colletto mezzo militare... il marrone del vestito si adattava ai suoi capelli corvini e la colore olivastro del viso. Era un piccolo grande uomo, sapiente incantatore» . Soprattutto, come si vede, era veramente un tedesco, e anche un filosofo tedesco: e Hannah lo amò per questo, perché incarnava ciò che il tempo presente aveva reso inattingibile per lei, presto destinata a riparare in America. Lo amò mentre con mezzi diretti e indiretti, filosofici e pratici, epurava le università dagli ebrei, prima di tutti quelli che gli facevano ombra, e mentre ambiva a diventare il filosofo di Hitler; lo amò mentre Heidegger osava disprezzare e emarginare Karl Jasper (cui si rivolse più tardi per supplicarlo di aiutarsi a reintegrarsi dopo la sconfitta) l’ altro mentore della Arendt; lo amò persino mentre si accompagnava a nuovi fidanzati e mariti che la adoravano; mentre era rifugiata negli Stati Uniti e mentre negli Anni 50 il professore riallacciava con lei una relazione in cui certo non erano assenti anche dei tratti sentimentali, ma in cui l’ elemento strumentale mirato alla riabilitazione, di cui Hannah Arendt si assunse il maggiore onere, non erano estranei. Anche Heidegger, certo, palpitò per la sua studentessa, come dimostra il fatto che rischiò all’ inizio della relazione il biasimo della società accademica formalistica e snob che era la sua, e dedicò parecchie energie a subornare psicologicamente la sua allieva, che tuttavia certo potè godere, giovandosene, della confidenza anche teorico-scientifica del pensiero del suo amante. Ma la comunicazione fu sempre a senso unico, se non nei casi in cui Hannah commentava o chiosava gli scritti di lui, o lo esortava a scrivere o a pubblicare. Quando fu lei, con il Totalitarismo ad avere un momento di grande gloria in Germania alla metà degli Anni 50, persino dopo il grande aiuto donato a Heidegger per difenderlo dall’ accusa di essere stato un nazista attivo e anzi un ideologo del regime, il filosofo interruppe persino l’ abitudine dei loro incontri tedeschi che erano ripresi dopo la Guerra. Hannah se ne dispiacque assai e scrisse a suo marito che lei era pronta a comportarsi « come se non avesse, mai scritto una riga» . Con tutto quello che avevano passato gli ebrei tedeschi Hannah non lasciò passare una sola visita in Germania in cui non si sedesse nel salotto dell’ ormai vecchio professore, con cui la corrispondenza non si interruppe mai definitivamente, e non discutesse amabilmente di filosofia anche con la moglie nazista Elfride. Dopo gli incontri Heidegger ringraziava l’ ospite con un biglietto in cui non mancava mai di menzionare il piacere che aveva fatto a sua moglie incontrare Hannah. Fino alla morte, Heidegger usò Hannah (e sempre mettendo in mezzo con perfidia e seduttività l’ intermediazione della moglie) per questioni editoriali, finanziarie, di relazione col mondo. Una delle migliore menti del secolo scorso restò tutta la vita incantata, innamorata di fronte all’ uomo che incarnò ai suoi occhi, così almeno a noi sembra, quella Germanità che le era stata negata repentinamente e crudelmente con il nazismo. Heidegger il cui pensiero forse merita davvero di passare ai posteri, ma che per lei fu un persecutore de facto, un nazista, un epuratore, fosse o non fosse in cuor suo antisemita (certo degli antisemiti predilesse la compagnia e la protezione) era l’ approdo ideale, la Zacinto perduta di Hannah, che a parer nostro mancò la comprensione del sionismo proprio per fedeltà alla Germania della Bildung. Hannah morì a 65 anni, nel 1975. Heidegger le sopravvisse brevemente. Ho chiesto a un filosofo amico perché quella donna straordinaria, quella creatura unica, morì tanto presto: « Era consumata di fatica e passione» mi ha risposto.

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