Ebrei serbi "Bibi, guai per noi se stai con la Nato"
mercoledì 31 marzo 1999 La Stampa 0 commenti
                
GERUSALEMME 
NOSTRO SERVIZIO 
Stasera, insieme, quattro profughi ebrei provenienti dal Kosovo e 
tre appena giunti dalla Serbia celebreranno la grande ricorrenza 
ebraica di Pesah, la Pasqua ebraica, partecipando alla cena rituale 
a casa di Bibi Netanyahu, il premier israeliano. Un centinaio di 
profughi ebrei di varia provenienza sono già fuggiti presso la 
grande comunità di Budapest, e altri membri della comunità 
jugoslava, che conta circa 2 mila persone, cercano di lasciare il 
Paese. E intanto hanno chiesto ieri a Netanyahu che Israele 
intraprenda un'iniziativa di mediazione che ponga fine ai raid 
della Nato. Atsa Singer, il capo della comunità , è il firmatario 
della lettera. Altri messaggi sono giunti al premier per vari 
canali: il senso generale è che i circa 3.500 ebrei jugoslavi 
affermano che la loro vita sarebbe in pericolo se Israele si 
schierasse nettamente con la Nato. 
Per ora non c'è nessuna notizia, tuttavia, che il primo ministro 
israeliano voglia prendere iniziative politiche; ma certo in queste 
ore Israele si è finalmente scossa da una specie di stupefazione 
depressiva in cui era rimasta immobilizzata in questi due giorni 
senza dire una parola, senza alzare un grido di protesta, senza un 
gesto umanitario e anche senza farsi avanti con qualche parola di 
sostegno alla Nato, di cui pure aveva avuto tanto bisogno nei 
giorni di Saddam Hussein. 
Finalmente ieri mattina alle 4,30 si è levato in volo verso la 
Jugoslavia un aereo carico di medici, tecnici, medicine e cibi 
adatti all'emergenza. Ariel Sharon, il ministro degli Esteri, ha 
voluto istruire personalmente il direttore del suo ministero che 
sarà sull'aereo come supervisore dell'operazione. 
"Siamo semplicemente ridicoli - ha protestato subito Yossi Sarid, 
il capo del partito radicale, il Meretz -, in Ruanda mandammo 
subito undici aerei, e qui solo uno! Che ci sta succedendo? Proprio 
noi ebrei, che più di chiunque sappiamo cosa siano genocidio e 
pulizia etnica, non siamo capaci di reagire? E non parlatemi di 
ragioni diplomatiche. Quelle di coloro che non intervennero ai 
tempi dell'Olocausto ci sembrano ancora oggi colpevoli e 
pretestuosi". 
Di fatto Netanyahu ha rilasciato soltanto ieri una cautissima 
dichiarazione di condanna di "tutti gli omicidi e tutte 
le violenze". La chiave di comprensione di tanta cautela possiamo 
trovarla nell'annuncio a pagamento che ieri occupava mezza pagina 
del quotidiano Jerusalem Post. Si tratta di un riquadro firmato da 
un certo signor Arie Livni che a suo tempo combattè con i 
partigiani serbi contro i nazisti e che ha perso tutta la famiglia 
nel campo di concentramento di Bor in Serbia. Livni con tono 
disperato chiede al presidente degli Stati Uniti di smettere 
immediatamente di bombardare quelli che secondo lui restano 
innanzitutto "gli eroi della guerra contro il nazifascismo". "Fu il 
loro piccolo esercito - scrive disperato Livni - che pagò con 
decine di migliaia di morti l'estremo coraggio di fermare col 
proprio petto gli eserciti tedesco e italiano, salvando 
innumerevoli vite nei Paesi alleati. Oltre alla memoria storica, 
gioca probabilmente in Israele anche l'inconscia paura che possa 
sorgere un nuovo Stato musulmano. Ma l'opinione pubblica sta molto 
rapidamente superando questi scogli con una vera crisi di 
coscienza: il quotidiano Haa retz ha dedicato un appassionato 
editoriale alla necessità di impegnarsi a fondo per i kosovari; e 
i kibbutz si stanno organizzando autonomamente per mandare rapidi 
aiuti. 
Fiamma Nirenstein 
            