E’ STATO DURISSIMO SIN DAI TEMPI DEI FRATELLI MUSULMANI MA LA SUA POL ITICA HA AVUTO ZONE GRIGIE Mubarak costretto a fare i conti con l’ islamismo
sabato 9 ottobre 2004 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
LA conversazione telefonica di ieri fra Hosni Mubarak e Ariel Sharon
potrebbe veramente aprire una fase di collaborazione antiterrorista fra
l’ Egitto e Israele. Per Israele quello del Sinai non è semplicemente un
altro attentato, è un terremoto, è la perdita dell’ unico rifugio fra cielo e
mare, è la minaccia sulla porta di casa del terrorismo internazionale che si
va ad aggiungere a quello palestinese. E’ l’ attacco agli ebrei che si spande
nel mondo: ormai sono sei gli attacchi a obiettivi ebraici all’ estero con
risultati devastanti. Mombasa, Gerba, Casablanca, Istanbul, Tashkent, e
adesso Taba. Per Mubarak è una minaccia esistenziale, dopo il complicato
rimpasto di governo di giugno, teso ad assicurare a suo figlio la
successione. E’ l’ attacco frontale del terrorismo al Paese che ha fatto per
primo la pace con Israele, per quanto gelida questa pace sia, e che adesso
media la tregua per il passaggio di potere ai palestinesi quando Sharon se
ne sarà andato da Gaza.
L’ attacco è stato enorme, devastante. Ha spaziato su un centinaio di
chilometri, dimostrando una sorta di « geometrica potenza» di Al Qaeda,
appoggiata certamente da organizzazioni locali e forse (ma questa ipotesi è
in calo) da quelle palestinesi. L’ attacco ha gridato « il re è nudo» di
fronte alla platea dell’ islamismo montante del mondo arabo circostante, in
cui la marea del fanatismo minaccia i regimi moderati, in particolare Egitto
e Giordania: i veri esempi - agli occhi di Bin Laden - dell’ apostasia, come
la chiamò nel suo proclama di guerra del 1998.
Di sicuro adesso ci si può aspettare una decisa risposta da parte del regime
egiziano. Risposte dure non sono mai mancate, nella storia dell’ Egitto. Come
quella per distruggere sul nascere i Fratelli Musulmani - l’ organizzazione
madre di tutto il terrorismo islamista - che, il 6 ottobre ’ 81, dopo la pace
con Menachem Begin, assassinarono il presidente egiziano Anwar Sadat.
L’ Egitto non è mai stato tranquillo rispetto agli islamisti e alle loro
organizzazioni omicide. Le ha inseguite, spezzate, affrontate con tutti i
mezzi di un regime durissimo - 800 mila uomini addetti alla sicurezza -
anche se non è mai riuscito a distruggerle completamente.
L’ Egitto ha mostrato un ventre più molle rispetto ai giordani, il cui
atteggiamento verso il terrorismo internazionale - anche per la pericolosa
contiguità con l’ Iraq e la brutta esperienza con la rivolta palestinese al
tempo del Settembre Nero - è stato più deciso. I giordani, consci del
rischio che le organizzazioni estremistiche rappresentano per il regime, non
mancano di affrontarle al loro interno. Come l’ Arabia Saudita, che anche
recentemente ha annientato i terroristi responsabili di attentati dentro i
suoi confini, anche se il tema del terrore internazionale, quando mirato a
« crociati ed ebrei» come dice Bin Laden, resta un tabù .
Verso il terrorismo l’ Egitto ha una politica che si può definire complessa,
o indecisa: anche se i membri delle organizzazioni jihadiste sono stati
uccisi e imprigionati, Mubarak ha però lasciato che il Sinai diventasse
un’ autostrada per il contrabbando delle armi leggere e pesanti verso Gaza e
il terrorismo palestinese, tramite le gallerie che partono dal suo
territorio nazionale ed entrano in Gaza. Il traffico terroristico è molto
intenso nel Sinai, dato il rifiuto dell’ Egitto a occuparsene quando concerne
la causa palestinese, compresa Hamas, che Mubarak teme e cerca di
neutralizzare politicamente senza però criticarlo.
Adesso Mubarak ha la prova che questa politica non paga, che ancora una
volta, il terrorismo è molto più deciso a distruggere gli « apostati» insieme
agli « ebrei» di quanto lui non pensasse. A costo di affamare, come avverrà
adesso che il Sinai si svuoterà di turisti e di imprese israeliane, il
popolo egiziano.