E il New York Times trasforma il terrorista in un futuro leader
Il Giornale, 19 aprile 2017
Marwan Barghouti è un terrorista condannato da Israele nel 2004, dopo la Seconda Intifada, a 5 ergastoli e più quarant'anni di carcere. Invece il New York Times lo ha definito solo "leader e membro del Parlamento", pubblicando due giorni or sono una sua melensa colonna sull'attuale sciopero della fame nelle prigioni israeliane. Il commento sul maggiore giornale americano di fatto lo ricandida per l'ennesima volta nel ruolo di leader coccolato dall'Occidente almeno quanto Abu Mazen. E si guarda bene dal menzionare la sua vera carriera, quella di assassino seriale. Strano? Per niente, nella logica che fa di Israele un Paese in cui è normale vedere cadere a schiera cittadini innocenti in stragi terroriste. Netanyahu commentando l'accaduto ha detto sarcasticamente ". Definire così Barghouti e come definire Assad "pediatra".
Il contesto del lapsus del maggiore giornale americano è uno sciopero della fame di circa 1000 condannati palestinesi sui 6000 dietro le sbarre. Le richieste sono tipiche di tutti i movimenti disegnati sulla più classica immagine del detenuto che vuole migliorare la condizione del carcerato affermando il suo diritto a una maggiore umanità dell'istituzione, alla necessità di rapporto con la famiglia tramite più visite e le telefonate, a un maggiore accesso a ogni fonte di informazione e cultura. Ma lo sfondo ha una tinta tutta particolare, quella che gli dà la leadership di Barghouti: il leader dei Tanzim e delle Brigate di Al Aqsa, il braccio violento di Fatah nella Seconda Intifada di fatto agli ordini di Yasser Arafat, è stato condannato nel 2004 per i crimini commessi.
Cioè per la gestione di una delle fasi più sanguinarie della storia del Fatah, punteggiata da attacchi terroristi suicidi e da stragi di innocenti che portarono a quasi duemila morti. Barghouti era un giovane (è nato nel 1959) leader nazional popolare, chi scrive l'ha intervistato più volte, e l'ha trovato ciarliero e sorridente, abile nel gestire la sua popolarità fra fiancheggiamenti di Arafat nelle trattative come nel terrore, ma populista contro la corruzione della classe dirigente. La cronista lo intervistò in una casa nel cui cortile a Ramallah razzolavano le galline, e i suoi armati fino ai denti, la tallonavano fin dentro la cucina in cui si svolse uno degli incontri. Era una specie di allegro camorrista nazionalpopolare, ma in realtà abile assassino di decine. In carcere, uno dei "topos" più popolari fra i palestinesi, la cui leadership paga salari alle famiglie dei "martiri" e dei condannati, è diventato sempre più importante e quindi sempre più inviso ad Abbas, che ha escluso lui e i suoi amici dai ruoli cui Barghouti pensa di avere diritto nel comitato centrale. Il giuoco odierno quindi tende a ricollocarlo, tramite la battaglia nel settore più sensibile, appunto quello dei prigionieri, a una quota di potere molto elevata, competitiva con Abu Mazen.
E' un giuoco rischioso, perché dipende dai risultati che lo sciopero riuscirà a ottenere, e quindi dalla risposta degli israeliani che non sono inteneriti dalle richieste dei carcerati, tanto che alla sua vigilia hanno spostato strategicamente Barghouti e altri carcerati. A giudicare però dal New York Times, ci sarà chi sosterrà lo sciopero, anche se già in Israele si ripete che le condizioni carcerarie sono assai rispettabili. Barghouti comunque è stato astuto di nuovo: ha scelto la via della protesta nazional popolare, la sua preferita, verso la leadership che lui ha sempre visto, non c'è da farsi illusioni, come un compito insanguinato.
Di detenuti che rivendicano "una maggiore umanità dell'istituzione" e di politicanti a caccia di voti e di popolarità che fanno loro da grancassa, da amplificatore e da altoparlante ne è pieno il mondo. Questo non è un fenomeno tipico di questo o di quel Paese, a cominciare dalla storia di Sacco e Vanzetti che, se avessero continuato l'uno a fare il calzolaio e l'altro il pescivendolo, tranquilli tranquilli, sarebbero morti quietamente nel loro letto, circondati dall'affetto dei propri cari. E invece decisero di giocare agli anarchici e di mettersi contro il potere costituito (perché - ricordiamoci bene - sempre di decisione personale si tratta. Non divennero anarchici dietro prescrizione medica).Detenuti che fanno casino, magari richiamandosi a Cesare Beccaria sono in tutto il mondo, con la conseguenza che oggi ci ritroviamo con un Toni Negri in parlamento o, paradosso dei paradossi, con un Renato Curcio completamente riabilitato che si fregia del titolo di "dottore" (pare che addirittura il defunto presidente Cossiga lo abbia definito così).Ma che il più importante giornale di un Paese che sta ora rivedendo le sue politiche migratorie proprio per prevenire ed evitare simili fenomeni, si sia prodotto in un simile scivolone, fa un tantino specie.