« E da oggi tu sia benedetto in Israele» Il giorno che cambiò il rap porto tra cristiani e ebrei
venerdì 24 marzo 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
SOLO il Viale dei Giusti che porta al Museo dell’ Olocausto Yad Va
Shem, in
cui ogni albero è dedicato a chi seppe sfidare la storia ponendosi,
durante
la Shoah, a fianco degli ebrei, è la strada degna di aver condotto
papa
Wojtyla alla sua tappa di ieri. Giovanni Paolo è entrato visibilmente
emozionato nella sala della Rimembranza, bloccandosi subito a leggere
per
terra il nome del campo di concentramento Lwow Deanowska, scritto fra
Auschwitz, Sobibor, Treblinka sul pavimento nero di basalto,
nell’ oscurità .
Yad Va Shem è il monumento più importante d’ Israele, la cassaforte
della
memoria, ma non solo.
Anche quella della legittimazione d’ Israele e dell’ unità del popolo
ebraico
al suo interno. Non per caso la via passa di fronte al bosco che
sorge in
vetta alla collina dove riposano i grandi dello Stato d’ Israele, fra
cui
Begin e Rabin: questo cimitero proprio sopra al museo è quello in cui
vengono sepolti anche i soldati caduti nelle guerre d’ Israele
stabilendo
così la continuità simbolica fra morti ebrei di allora e quelli di
oggi, e
quindi fra il disastro della Shoah e la successiva necessità della
rinascita
ebraica con Israele.
Yad Va Shem copre un grande spazio: nel parco affacciato nella Valle
di Ein
Karem dove nacque Giovanni Battista, c’ è un labirinto di spazi e
muraglie di
pietra, ciascuno dedicato a una comunità scomparsa. Più avanti, il
monumento
a un milione e mezzo di bambini scomparsi, li chiama uno per uno per
nome,
data di nascita e luogo di provenienza, senza sosta in uno spazio
completamente buio e illuminato solo da una candela che si riflette
all’ infinito. Nel blocco centrale il museo racconta la storia
dell’ orrore
occorso nel cuore dell’ Europa cristiana dall’ insorgenza del nazismo
fino
alla liberazione dai campi di sterminio. Solo fotografie in bianco e
nero,
accompagnate da didascalie ricche di dati e nomi. Il Papa si è subito
dichiarato nudo e disperato esclamando all’ inizio del suo saluto il
salmo
« Sono diventato un rifiuto» e ha aggiunto subito « La mente, il cuore
e
l’ anima trovano un estremo bisogno di silenzio» . Ma dal profondo del
suo
dolore invece il Papa ha mormorato parole estremamente forti che
vanno al di
là delle scuse e che disegnano un domani completamente nuovo del
rapporto
fra ebrei e i cristiani: « Assicuro gli ebrei che la Chiesa Cattolica,
motivata dalla legge evangelica della verità e dell’ amore e non da
considerazioni politiche, è profondamente rattristata per l’ odio, gli
atti
di persecuzione e le manifestazioni di antisemitismo diretti contro
gli
ebrei da cristiani... Prego che il nostro dolore per la tragedia
sofferta
dal popolo ebraico nel ventesimo secolo conduca a un nuovo rapporto
fra
cristiani e ebrei...» .
Sembrava semplicemente di sognare quando nella buia sala della
Rimembranza
il Papa ha rinfocolato con le sue mani la fiamma della memoria, e
quando ha
vacillato nel momento in cui il cantore singhiozzava: « Abbi pietà
Signore di
uomini, donne e bambini bruciati, gasati...» ; quando ha fatto il suo
discorso che non consente mai più a nessun credente cristiano di
disprezzare
o odiare gli ebrei, con voce determinata quanto lo può un uomo
vecchio e
malato. Barak lo guardava fisso, incredulo, la grandezza di Wojtyla
volava
alta. Gli ebrei nella sala, vecchi amici della Polonia, ciascuno con
un
ricordo personale o con una foto da mostrargli, i politici ebrei,
compresi
quelli dei partiti più nazionalisti-religiosi, il Capo di Stato
Maggiore
Shaul Mofaz col berretto rosso dei paracadutisti, tutti guardavano a
bocca
aperta il coraggio del vecchio Papa. Non era più , in definitiva,
neppure
tanto importante quello che diceva in un discorso comunque intessuto
chiaramente di scuse e di dolore. Era il corpo del Papa nel Mausoleo
della
Shoah, al centro della terra d’ Israele, sia nell’ anima storica che in
quelle
vive, pulsanti del popolo ebraico, che faceva la storia e apriva
finalmente
un dialogo.
Barak, l’ ha capito bene quando, invece di seguitare a chiedergli
altri mea
culpa (che il Papa ha ormai collezionato quanto può senza infrangere
il
dogma dell’ infallibilità della Chiesa) lo ha coperto di parole
affettuose e
alla fine lo ha benedetto: « Tu sia benedetto in Israele» . Il Primo
Ministro
d’ Israele, un ebreo, benediceva il Papa come può fare un vero
« fratello
maggiore» .