DURE ACCUSE AI RESPONSABILI E A UN PAESE « INDIFFERENTE» DALLA COMMISS IONE D’ INCHIESTA SULL’ UCCISIONE DI 13 DIMOSTRANTI Il verdetto sulla strage di arabi scuote lo Stato ebraico
martedì 2 settembre 2003 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
TRE giudici di cui uno arabo, mille pagine e tre anni di lavoro, sedicimila
pagine di interrogatori per centinaia di testimonianze, e il Paese tutto
intero col fiato sospeso per molte ore davanti alla tv e con le radio accese
come di fronte a un verdetto definitivo sul proprio futuro: quella di ieri è
stata soprattutto la giornata della commissione Or, dal nome del giudice
Theodore Or che l'ha presieduta. E, dopo che i risultati sono stati
finalmente presentati al pubblico, come si poteva prevedere, le critiche
sono venute da ogni parte, ma tuttavia si è avvertito un generale senso di
sollievo per il buon senso e l'equanimità della conclusione.
La Commissione Or è nata per iniziativa del governo, allora guidato da Ehud
Barak, nel novembre 2000, in seguito all'uccisione, nel corso di dieci
giorni di terribili scontri con i cittadini dei villaggi arabi del Nord
d'Israele, di 13 manifestanti. Le accuse alla polizia, che sparò senza
riguardo per la vita dei giovani pallottole di gomma che però risultarono
fatali, ma anche le accuse cocenti alla politica dello Stato furono di aver
mostrato una sostanziale indifferenza per la vita dei cittadini arabi, e
quindi un atteggiamento razzista rispetto a quanto accade durante le
manifestazioni della popolazione ebraica. Bisogna ricordare che furono dieci
giorni di autentica guerra, di una violenza senza precedenti, che andarono
in coppia con gli scontri della Spianata delle Moschee all’ inizio
dell'Intifada.
Barak, sotto la spinta dell'orrore popolare, nominò la Commissione che fu
costruita sul modello della Commissione Kahan, quella che nell'83 giudicò
Ariel Sharon per Sabra e Shatila e ne raccomando le dimissioni da ministro
della Difesa. Alla vigilia di un quasi certo ritorno alla vita politica,
Barak più di tutti ha temuto i risultati dell’ inchiesta. Ma ne è uscito
quasi salvo: nonostante parole severe siano contenute nel giudizio che lo
riguarda (non ha ben valutato la gravità degli scontri neppure dopo
l’ uccisione del primo dimostrante) non vi sono raccomandazioni per il suo
futuro politico. Invece l'ex ministro degli Interni e architetto degli
accordi di Oslo, Shlomo Ben Ami, non potrà più , secondo la Commissione,
avere lo stesso ministero perché ha dimostrato una sostanziale incompetenza.
Le condanne più pesanti sono per gli agenti, e infatti già la polizia
sostiene di essere stata gettata in pasto ai corvi per avere affrontato
un'autentica guerra: per i capi si parla di « sostanziale fallimento
professionale» (nel caso dell'Ispettore generale Yehuda Wilk) e « di aver
contribuito con gli atti e le parole a cattivi rapporti con gli arabi del
Nord» (per il comandante Alec Ron). Nessuno potrà tornare ai veccchi ruoli,
e per altri due ufficiali si prescrive la cacciata. La polizia di fatto e'
accusata di aver trattato cittadini israeliani come nemici in guerra.
Sotto inchiesta anche i politici arabi, membri del Parlamento israeliano,
accusati di incitamento: Asmi Bishara e Abdel Malik Dahamshe come lo sceicco
Ra'ed Saleh, che adesso è in carcere sospettato di aver aiutato terroristi
palestinesi, sono stati accusati di avere incitato alla violenza e di avere
perseguito la delegittimazione dello Stato d'Israele agli occhi dei loro
concittadini. La Commissione ha anche rilasciato una lunga riflessione sullo
stato dei rapporti fra ebrei e arabi in Israele che Yossi Beilin, la
colomba, l’ ex ministro, ha definito « un documento storico per come riconosce
le nostre responsabilità verso gli arabi» : molti sperano che dalle critiche
verso la noncuranza con cui Israele tratta questa minoranza nasca un'era
nuova di concordia, un nuovo impegno, prima, come dice il documento, che sia
troppo tardi. Ma oggi i giovani arabi israeliani si identificano molto più
che nel passato con la loro identità palestinese, e in gran parte approvano
il terrorismo, si sentono parte dell'Intifada.
Dalle prime amare reazioni, per esempio quella di Jamila Hasala, la madre di
Assil, ucciso a 17 anni negli scontri, è difficile immaginare un'effettiva
riconciliazione. Dice Jamila che da quando ha appreso il verdetto considera
i giudici e lo Stato responsabile dell'assassinio del figlio.