Dopo le guerre e i compromessi, viaggio nella vera pace E Mosè disse: Il nuovo Sinai tra cammelli e fricchettoni
martedì 18 maggio 1993 La Stampa 0 commenti
NUEIBA DA Israele al Sinai, nottetempo, attraverso il confine di
Taba. La santa scatolona di sabbia dove gli umani ricevettero il
patto dal Padreterno formicola di impulsi di modernità : il beduino
freme, l’ egizio ormai inciampa nella galabia bianca e indossa la
camicia hollywoodiana, il copto spia la fine del nemico musulmano,
che verrà al ritmo del registratore di cassa. Al confine, dopo l’
ex Hilton israeliano (ora Sonesta) restituito a malincuore dopo la
pace di Camp David, è il buio: dalle baracche di legno si affaccia
uno scriba panciuto, si direbbe benvoluto dal faraone, e comincia
una trafila di carteggi scritti a mano su foglietti irregolari. Si
descrive, da una baracca all’ altra, la vettura, il bagaglio, i
componenti del gruppo tutto con gentilezza, con lentezza, con
dispendio di denaro detto pounds, danaro vecchio e stracciato. Alla
luce delle lampadine colorate, una prima sorpresa: la montagna
circostante è stata dipinta nei tre colori della bandiera
nazionale, nero, rosso e bianco. Sì , tutta la montagna. Questo
perché arriva Mubarak. È la festa del Sinai, il giorno della sua
celebrazione. Guardacaso viene insieme a Yom Azmaut, il giorno dell
’ indipendenza dello Stato d’ Israele. Mubarak viene in visita, il
percorso è sconosciuto: tutto il Sinai è presidiato da dignitosi
poliziotti egiziani in moltitudine. Il poliziotto egiziano esige il
sorriso, fa parte delle sue prerogative. Se non gli sei simpatico,
sono guai. Ce lo spiega il cameriere dell’ alberghetto fatto di
bungalow sul Mar Rosso, dove i pesci egizi svergognano la più
audace delle immaginazioni con i loro colori: viola, blu e gialli,
fosforescenti, che vengono sul naso della maschera subacquea. La
visita di Mubarak ha indotto ad attaccare la linea telefonica
internazionale. Proviamo dunque a chiamare l’ Italia. Anche gli
egiziani dell’ albergo avrebbero voglia di compiere l’ esperimento.
Ma la polizia sconsiglia, scuotendo il capo, di occupare le linee
finché Mubarak è in zona. E poi ancora il Sinai è lontano dal
conoscere le tariffe. Saranno comunicate uno di questi giorni.
Domani, dopodomani, chissà . Tuttavia la linea c’ è , come un
feticcio: nei villaggi attaccato a qualche palo, accanto a un
cammello accucciato e a un beduino annoiato, si vedono i telefoni a
schede, nuovi fiammanti. Si potrà chiamare la Borsa di New York, la
Borsa di Tokyo; forse si potrà parlare con Tel Aviv. Nuove
costruzioni in cemento occhieggiano semifinite, ci sono costruzioni
di scuole finte, finti centri sociali, ma veri alberghi e veri
ristoranti costruiti con maggior garbo di quanto non facciano gli
israeliani sulla loro costa. La memoria dell’ occupazione israeliana
è stata rasa al suolo. Come se niente fosse mai esistito. Qualcuno
però ride ancora al pensiero di quel buffo benzinaio vicino a
Nueiba: là un ex combattente mutilato e freak faceva sempre festa
con le turiste e coi beduini fino alla mattina. Al contrario qualcun
altro non controlla l’ odio quando il turista israeliano chiede l’
aria condizionata:
Sotto i baffi sottili il portiere del bianco albergo della
spiaggia mostra una smorfia secca. Di fatto, non funzionano ancora
in molte località del Sinai né arie condizionate né acque calde,
funziona invece nel villaggio di vacanze sulla spiaggia una vaga
memoria di tempi egizi, indotti da una sedia di paglia simile in
tutto a quella dei dipinti mortuari; funziona la memoria indotta
dalle bozzette di pane gommoso che si presentano in cestini a
piccoli mucchi. È un pane identico al pane dei morti, quello che
abbiamo ritrovato con i faraoni e i dignitari mummificati perché lo
mangiassero con Osiride nell’ aldilà . A Sud, a Dahab, la
mutazione è già avvenuta. Pasolini diventerebbe matto, si
butterebbe per terra. Lungo un piccolo golfo, in fila, una quantità
di baretti invasi di beatneak sballati ostenta la pretesa del
colore beduino unito al biondo chiaro della neozelandese in visita.
Una cinquantina di autentici cammelli, con i loro autentici beduini
in groppa o seduti accanto (sempre con la cicca fumante fra i denti
), aspettano di provocare agitazione di stomaco nel prossimo
cliente: , spiega il beduino, che
aggiunge:
per notte, il resto del tempo mangia, se non mangia rompe le scatole
e ci sveglia tutti quanti; se si arrabbia attacca e uccide mordendo
alla giugulare con due lunghe zanne affilate. Durante questa
descrizione di orrore passano centinaia di macchine nella stretta
stradina che divide le case madri dai gazebi all’ aperto dei caffè
Fra una macchina e l’ altra, e un cammello e l’ altro, si infilano
i camerieri, con piatti di insalate, fagioli, melanzane e polpette
fritte, coperti da nugoli di mosche. I divani sono popolati di
sigarette spente, di carte unte, appallottolate. Il mare
meraviglioso occhieggia da vicino a tutto questo. Le montagne di
Mosè il legislatore sorvegliano gialle e rosse. Ogni turista donna
è seguita da non meno di cinque bambinette beduine in libera uscita
fino all’ età di 12 anni. Per pochi pounds costruiscono
direttamente sul braccio della malcapitata braccialettini di filo.
Occhieggiano agli abiti femminili, guardano, come piccole donne
avide, ogni turista.
che non saprà mai né leggere né scrivere) siederò a casa con
mia madre per sempre, sarò triste. Le faranno l’ infibulazione.
Sarà vestita di nero e velata sulla spiaggia e in montagna,
accompagnerà il cammello del marito, oppure pescherà sulla
spiaggia con un filo legato a una bottiglia di plastica.
costa di più a me, dicono all’ unisono il venditore di tappeti
il ristoratore, il negoziante di bottigline riempite di sabbia, il
beduino che ti vende la gita nel deserto ma ti venderebbe qualsiasi
altra cosa. . Hanno ragione. Fiamma Nirenstein