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DOPO LA BOMBA IN ISRAELE NIENTE INDUGI DI ARAFAT SUI TERRORISTI

domenica 12 agosto 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein DOPO che una bomba umana ha fatto di nuovo strage di bambini, madri, cittadini inermi che mangiavano la pizza, colpendo un luogo altamente simbolico e premeditato, il mondo ha trattenuto il fiato: oddio, adesso Sharon farà qualcosa di terribile, hanno scritto tutti i giornali, hanno gridato quasi tutti i teleschermi. La guerra sembrava alle porte. Quando il terrorista suicida di Tel Aviv, troppe poche settimane fa perché ci se ne sia dimenticati, uccise 22 ragazzi in discoteca si disse la stessa cosa. Invece, anche allora, le rappresaglie furono molto limitate. Certo la guerra può sempre scoppiare, e Sharon può sempre perdere i nervi, ma per ora Israele insiste in una politica in cui non impiega un centesimo della sua forza: nemmeno l’ occupazione dell’ Orient House, per quanto sia un gesto molto duro, o persino i raid selettivi contro i personaggi di Hamas o di altri implicati in gesti di terrorismo siano paragonabili alla ferocia dell’ assedio terrorista che prende di mira l’ intera società israeliana. Anche la società palestinese è crudelmente assediata da una situazione di violenza e di limitazione della libertà , ma come può essere superato questo? Tornando alle trattative. Può Yasser Arafat condurre queste trattative, oppure è stato sopravanzato dall’ ondata di terrorismo? Non controlla più niente? E’ una versione molto semplificata dei fatti, anche se certo il suo controllo non è diretto: c’ è fra lui e tutte le organizzazioni palestinesi uno stretto rapporto e non c’ era un’ ondata così terribile di violenza prima che il raiss liberasse decine di terroristi da lui stesso messi in prigione. Ora Arafat rifiuta, di fronte alle richieste di Israele e dell’ intero consesso internazionale, di agire contro le organizzazioni responsabili. E’ vero che gli israeliani non lasciano gli insediamenti, ma è anche vero che per farlo occorre una trattativa che non riesce a decollare per gli attentati terroristici. E benché Arafat potesse prima contare su un interlocutore ben disposto come Ehud Barak, e non su Sharon, anche allora accordi territoriali non ce ne sono stati. Arafat è ancora il signor Palestina, ne incarna tutte le anime, destituirlo sulla carta come vien fatto ogni giorno non fa un piacere alla pace: il nodo oggi è ancora il terrorismo, e la capacità di Arafat di fermarlo. Oslo ha già dimostrato che in presenza di una tregua si tratta e si va molto avanti. E’ ora dunque che Arafat oltre a proseguire le sue proteste legittime rivolte ai leaders del mondo, combatta anche il terrorismo. Questa sarà la prova della sua volontà . E’ chiaro che per farlo deve pagare un prezzo alla sua opinione pubblica. Ma non c’ è altra strada. Solo coi terroristi in galera il tavolo delle trattative torna a comprendere gli insediamenti, le « penose concessioni» , la divisione di Gerusalemme.

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