Domani saranno annunciate le elezioni anticipate, la data più probabi le è il 27 aprile Netanyahu apre la corsa Israele, ormai è campagna elettorale
domenica 20 dicembre 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
NOSTRO SERVIZIO
Netanyahu ha di fatto aperto la campagna elettorale ieri allo
stadio di Gerusalemme, di fronte ai tifosi del Bet-Ar, la squadra
di calcio della tradizione populista sefardita. Dagli spalti, con
la kippà nera in testa ha acceso le candeline della festa
religiosa di Hanuchà e ha infiammato la folla con poche parole di
richiamo tribale. Da domani, in realtà , comincia in Israele una
battaglia senza quartiere: "Voglio proprio vedere - sintetizza un
fedele di Bibi, Reuven Rivlin - a chi la gente affiderà la
trattativa finale con i palestinesi, quella per Gerusalemme e per
il loro Stato".
Bibi dunque è arrivato alla fine della strada: gli elettori
israeliani ben presto, forse domani stesso, riceveranno dalla
Camera l'annuncio che le elezioni sono oramai indette.
Probabilmente la data prescelta sarà il 27 aprile, a ridosso del
tanto paventato 4 maggio, il giorno in cui Arafat ha ripetutamente
detto che proclamerà lo Stato palestinese. Il modo in cui
Netanyahu ha annunciato le dimissioni di fatto, è contorto,
secondo il carattere dell'uomo non parte affatto da un'ammissione
di sconfitta, ma al contrario dall'ennesima esibizione di
sicurezza. Infatti il primo ministro israeliano ha annunciato che
sottoporrà alla Knesset una dichiarazione di principi politici, la
cui sicura repulsa da parte dell'opposizione porterà alle elezioni
anticipate. Di fatto si conclude così un periodo confuso e pieno
di nuvole, in cui i cittadini israeliani di ogni parte politica
hanno sofferto del tentativo di Netanyahu di compiacere tutti
quanti, di portare a casa contemporaneamente una medaglia per aver
firmato l'accordo di pace di Wye, una medaglia per essere il duro
che non sgombera i Territori, la patente del grande guidatore di
una coalizione instabile, il riconoscimento di essere l'amico dei
coloni, di essere un facitore di pace, di essere un paladino della
sicurezza. Non è andata. La svolta epocale che ha portato Clinton
a Gaza in veste di sostenitore dello Stato palestinese, nonostante
fosse stato invitato da Bibi, è stata l'ultima botta. Netanyahu ha
cercato di reggerla rifiutandosi successivemante di sgomberare i
Territori secondo l'accordo: ha rovinato così i rapporti con gli
americani, con la sinistra, e anche con la destra che comunque non
gli crede più .
Adesso lo scontro che si prospetta e che nasce sotto la tragica
stella della Guerra del Golfo e di uno scontro in atto con i
palestinesi, si avvia nella nebbia. Netanyahu appare al suo stesso
Likud come un leader che si è alienato consensi anche nella parte
moderata, che non ha saputo dare calma, sicurezza, sensazione di
egemonia, di leadership sia pure di parte. Molti dei suoi gli
riconoscono tuttora duttilità politica, fede, visione, ma hanno
visto troppi giochi da politicante, troppa disinvoltura nel gestire
idee e persone, nell'abbracciarle e poi abbandonarle.
La sinistra a sua volta non ha un leader del calibro di un Rabin o
di un Peres. Il segretario del partito laborista e candidato a
primo ministro Ehud Barak, ex capo di stato maggiore, è pieno di
punti deboli, esita fra il personaggio del soldato che dà
sicurezza al suo popolo, e il ruolo di un pacificatore molto
determinato, come quello che Peres aveva scelto per sé . La sua
gente è quindi disorientata, e sostanzialmente il partito
laborista non disdegnerebbe, nel momento dello scontro di avere a
disposizione un leader diverso. E non è detto che non cambi
cavallo in corsa. In queste ore si organizza freneticamente un
terzo Partito di Centro, che dovrebbe raccogliersi intorno ad
alcuni leader, in parte transfughi dalle file di Netanyahu, in
parte provenienti dalla sinistra. Il più carismatico, la vera
speranza del momento è anch'egli un ex capo di stato maggiore,
Amnon Lipkin Shahak, un affascinante gigante dagli occhi sinceri,
un favorito di Rabin, saggio e pacifista, ma che finora non è mai
venuto allo scoperto fino in fondo. Di lui si dice solo quanto è
pacato e giusto, ma che cosa pensi dello Stato palestinese, del
Libano, quali siano le sue idee su Gerusalemme o in economia, è un
segreto per tutti. Comunque se il Partito di Centro sarà suo,
partirà col piede destro. Per ora infatti, rispetto al 40% di
Bibi, Shahak riceve il 50% delle preferenze. Barak ha cercato
disperatamente di portarlo nel partito laborista, ma i due non si
sono messi d'accordo. E davvero, non c'era nessun bisogno d'uno
scontro a sinistra. Anche senza battere Netanyahu non sarà
uno scherzo.
Fiamma Nirenstein