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Dollari e polizia spengono la collera in Arabia Saudita

sabato 12 marzo 2011 Il Giornale 1 commento

Il Giornale, 12 marzo 2011

E’ la nostra fantasia a suggerirlo, ma ci sembra di vedere re Abdullah ieri, alla fine di una giornata difficile, che trasporta il suo corpo ottuagenario (ha 87 anni) e i suoi bianchi veli svolazzanti fino all’ospedale saudita dove è ricoverato, suo ospite, l’ex rais di Tunisia Zine el Abidine Ben Alì e gli dice: “Vedi, dovevi fare come me: grandi donazioni alla popolazione, la polizia che fa sul serio, e torna la calma”. Infatti, può darsi che non sia detta l’ultima parola, ma certo la monarchia saudita deve aver tirato un respiro di sollievo dopo il fallimento, ieri, del “Giorno della Collera”. Indetto dai social network e ricco di 30mila adesioni su Facebook, dopo tanta preparazione ha visto soltanto duecento coraggiosi nella città di Hofuf, nella regione orientale dell’Arabia Saudita dove era stato arrestato un riverito imam sciita, Tawfik al Amer.

La minoranza sciita è il centro della protesta, sempre sospettata di amare l’Iran, nemico dell’Arabia Saudita. A Riad non è successo niente: la capitale ha visto per le strade solo folle di militari e poliziotti, mentre il centro commerciale di Olaya, con i suoi bar popolati da giovani che sognano la modernità, sono stati liberalmente lasciati in pace. Invece la sera prima, e questo è stato il gesto più pesantemente convincente del regime, a Qatif, una città orientale petrolifera a maggioranza sciita, la polizia aveva sparato disperdendo la folla e ferendo tre persone. Ieri Qatif appariva in stato di calma piatta.

Il regime saudita nuota con determinazione contro la corrente rivoluzionaria del mondo islamico. Non è ancora chiaro se la scamperà, l’opposizione di giovani intellettuali e sciiti è robusta e odia le sue dozzine di principi e principesse straricchi, si chiede dove finiscano tutti i miliardi della immensa ricchezza petrolifera, perché se ne spendano tanti in armi modernissime; chiede la monachia costituzionale, mal sopporta la shaaria durissima in cui, dalla lapidazione alla proibizione di guidare l’automobile fino alla interdizione dal voto, la donna è una vittima vessata con incredibile determinazione. Il matrimonio delle bambine di tredici anni con uomini di decenni più vecchi di loro è uso comune.

Il regime si sente isolato dopo la caduta di Mubarak e di Ben Ali e in queste settimane ha seguitato a segnalare sempre lo stesso doppio atteggiamento: ha promesso riforme, ha distribuito 36 miliardi di dollari in giro, specie ai giovani che vogliano comprare abitazioni e piccoli affari, ha promesso il voto attivo ma non passivo alle donne nelle elezioni locali... però ha negato con determinazione la richiesta di una monarchia costituzionale e il ministro degli esteri, principe Saud al Faisal, ha detto mercoledì che il suo regime “taglierà qualsiasi dito” puntato contro il regime.  

La posizione saudita è straordinaria: l’Arabia Saudita è infatti al contempo il Paese islamico più rigido, la dittatura più dura e dogmatica, e tuttavia l’amico più tradizionale e solido degli Stati Uniti, un baluardo di equilibrio mediorientale anti iraniano ora che l’Egitto e la Tunisia non sono più sulla mappa come bastioni del potere moderato e quindi dell’equilibrio fra mondo occidentale e mondo arabo.

L’Arabia Saudita è però tipicamente autoritaria nel controllare malamente la sovrastante presenza giovanile scolarizzata e immersa nel web con la forza di un regime duro e di un islamismo wahabita che è il più estremista del mondo e che i sauditi esportano anche in Europa a suon di miliardi. Ma oggi per i sauditi è pericolosamente comparsa la nuova solitudine creata dalle rivoluzioni. La sua decadenza potrebbe procurarci problemi non piccoli. L’Iran è all’attacco sull’onda dei sommovimenti arabi. Proprio in questi giorni ha stretto nuovi patti strategici con la Siria e la Turchia è ormai un suo interlocutore fisso; l’ingresso delle sue navi tramite il canale di Suez nel Mediterraneo ha segnalato una dura determinazione egemonica. Le milizie mercenarie dei sauditi sanno che la prossima tappa potrebbe essere quella di difendere con le armi l’amico Bahrein, anch’esso sunnita, contestato dagli sciiti sostenuti dagli iraniani che più volte l’hanno dichiarato loro proprietà. Un analista kuwaitiano, Sami al Faraj, presidente del Centro di Studi Strategici del Kuwait, ha scritto che il prossimo grande scontro avrà luogo fra i Paesi arabi del Golfo e l’Iran, e che l’arsenale di armi che gli USA hanno venduto a quei paesi sarà usato contro Teheran. Semmai, la monarchia saudita non potrà stare alla finestra.

Fino ad oggi il dilemma che abbiamo affrontato con molti tentennamenti fra stabilità e difesa della libertà (parliamo soprattutto dell’Egitto, non della Libia dove Gheddafi sparando sulla sua gente ha risolto da sé il nostro dilemma) ha trovato risposte a favore dei diritti della gente. Gli USA hanno già avvertito i sauditi perché la determinazione a mantenere il potere non diventi repressione selvaggia. Ma la sua caratteristica di ultimo baluardo contro l’Iran atomico e rampante influenzerà certo l’atteggiamento occidentale, o almeno quello americano. 

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Aurora , USA
 martedì 15 marzo 2011  02:01:18

How right you are in your assessment. Just in the news: Saudi Arabia has just sent troops into Behrein.As much as I feel bad about the people living in such an oppressive regimes, I hope they will be able to quell the rebellion: I don't want to see more refugies flock to Europe, or anywhere else for that matter. I might be selfish but I don't think the west and the east are compatible.



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