DISCUSSIONE. Israele torna a interrogarsi sul trauma che 25 anni fa m inò le sue certezze Guerra del Kippur fu vera sconfitta?
martedì 29 settembre 1998 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
ALLE 2 del pomeriggio di sabato 6 ottobre 1973, venticinque anni fa,
Israele era immersa nel grande rito di purificazione di Kippur, il
giorno del digiuno, del pentimento e del perdono. Un secondo prima
che le sirene cominciassero a urlare nel silenzio perfetto della
ricorrenza in cui tutti gli ebrei, anche laici, passano
ventiquattr'ore fuori dalle cose di questo mondo, lo Stato ebraico
era un altro: lo choc dell'attacco concentrico dei siriani e degli
egiziani lo avrebbe cambiato per sempre. Fu una guerra che gli
arabi basarono tutta sull'attacco di sorpresa, e che nonostante
alla fine fosse vinta sul campo di battaglia dagli israeliani, è
rimasta fissata nella loro memoria collettiva né più né meno che
come una colossale sconfitta. L'ottimismo, il senso di onnipotenza
nato dalla grande vittoria della Guerra dei Sei Giorni, l'astratta
convinzione che comunque tutta la vicenda d'Israele avesse un
carattere restitutivo rispetto alle sofferenze storiche degli ebrei
e che quindi il Fato, Dio, o quel che si vuole dovesse essere
sempre dalla loro parte, tutto ciò crollò d'un tratto.
Millequattrocento carri armati siriani divorarono la linea di
confine al Nord schiacciando 180 carri armati israeliani che vi si
trovavano di stanza. I soldati morirono bruciati lungo l'area di
Nafah nelle loro inutili fortezze di metallo; intanto al Sud
estremo Sadat lanciava cinque divisioni di fanteria egiziane che
passavano il canale di Suez travolgendo con 70 mila uomini i 500
dislocati lungo il confine.
Israele ancora oggi non si è ripresa da quel trauma. Eppure nelle
ore successive riuscì a recuperare, e infine a vincere. In poche
ore mobilitò le riserve; il 15 ottobre l'allora generale Ariel
Sharon riuscì ad aggirare le truppe egiziane con un'incredibile
azione di penetrazione profonda al di là delle loro linee, fin
dentro il Sinai; intanto, i paracadutisti delle forze aeree
contrattaccarono sia i siriani che gli iracheni e i giordani che si
erano nel frattempo uniti a Damasco. Più di 2500 soldati
israeliani furono uccisi, e il numero di quelli rimasti per sempre
disabili o traumatizzati senza recupero tuttora si conta negli
ospedali civili e psichiatrici. La guerra pavimentò la strada per
gli accordi di Camp David e la pace con l'Egitto, preparò il
grande cambiamento di leadership che spazzò via Golda Meyer,
allora primo ministro, e Moshe Dayan, facendo posto a nuovi leader
come Menahem Begin, che poco più tardi vinse le elezioni. È qui
che nasce la terribile polarizzazione fra destra e sinistra, i
movimenti di "Pace Adesso" e dei nazionalisti religiosi, convinti
ambedue di portare il nuovo verbo a un Paese allo sbando. A
venticinque anni di distanza un punto definitivo che spieghi
l'accaduto, che giustifichi l'incredibile rimozione dei grandi
leader che sapevano di movimenti di truppe arabe, e l'ottusità di
Golda Meyer che mise da parte le informazioni datele direttamente
da re Hussein, non è ancora stato raggiunto. E due sono i punti
fondamentali di un dibattito che si è rinvigorito in questi
giorni: avremmo potuto veramente perdere? e al giorno d'oggi,
Israele potrebbe essere sorpresa da un ben più letale attacco
chimico missilistico senza alcun preavviso?
Molti storici e psicologi sostengono oggi che la percezione della
Guerra di Kippur ha completamente sostituito la sua realtà
storica. Fra questi, Charles Liebman, professore di scienze
politiche all'Università di Bar Ilan, che ha scritto un libro dal
titolo Il mito della sconfitta. Secondo Liebman la guerra del '73
avrebbe potuto tranquillamente essere ricordata per sempre come un
grande successo, dato che Israele respinse vittoriosamente i
nemici: "Che sia passata alla storia come una guerra di sconfitta
è dovuto al fatto che essa ha spazzato via una quantità di
fantasie e di sogni che gli israeliani avevano sulla loro società
dopo la Guerra dei Sei Giorni, e soprattutto quella che nel nuovo
Stato degli ebrei essi fossero in salvo per sempre... In genere -
aggiunge Liebman - poiché non si può accettare che i giovani
muoiano per niente, le sconfitte vengono trasfigurate dalla
fantasia collettiva in una vittoria, come nel caso di Masada o di
Tel Hai...".
"Quello che ha causato il senso di sconfitta - spiega il
colonnello delle riserve Yaachv Hisdai, autore del libro La verità
nell'ombra della guerra - è il dubbio sulla propria bontà
intrinseca, il dubbio di non essere nel giusto, che fino ad allora
non aveva mai sfiorato Israele. È proprio dopo la guerra del '73
che nasce un dubbio sulla moralità di un popolo che occupa dei
territori. Un anno prima Golda aveva detto che il popolo
palestinese non esisteva. Adesso era invece finita l'idea che
dovessimo avere sempre e comunque ragione".
Ecco dunque, secondo questa nuova interpretazione, un grandioso
esempio dei castelli che la memoria collettiva può costruire,
degli svisamenti fantastici dovuti a bisogni etici o politici.
Ben più realistico appare invece il dibattito sul presente e
sulla possibilità per Israele di essere di nuovo sorpresa da un
attacco concentrico. L'esperto di strategia mediorientale Leslie
Susser è piuttosto pessimista quando afferma che i siriani, dopo
l'interruzione dovuta allo stallo dei rifornimenti sovietici,
adesso sono di nuovo armati dai russi. Gli egiziani, poi, sono
equipaggiati come non mai da armi americane. Quel che è peggio,
Saddam possiede due bombe atomiche a cui manca solo il materiale
fissile per essere operativo. L'Iran è in cima agli incubi
israeliani con il suo missile Shahab 4 - costruito con l'assistenza
russa, può raggiungere Gerusalemme e sarà in breve operativo - e
con le sue armi non convenzionali.
In breve, il quadro, rispetto alla guerra del '73, quando si
combatteva con i carri armati e gli aerei tradizionali, non è
migliorato. In più , il giuoco della fantasia collettiva israeliana
è andato proprio nella direzione segnata da quel Kippur. La guerra
vale sempre meno agli occhi dei giovani, l'insicurezza è grande,
il sogno della pace ha reso l'esercito molto meno aggressivo, più
fragile e meno motivato. Il governo non lo sta più a sentire,
l'ironia e il distacco rispetto al servizio militare tengono i
giovani lontani dalle unità speciali di combattimento. La sindrome
del '73 è lunga 25 anni, ed oltre.
Fiamma Nirenstein