Discoteche chiuse per lutto, concessione all’ Islam Un mese senza mu sica
lunedì 23 agosto 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
Si pensa a volte che il silenzio della morte, dei morti della
Turchia il
cui numero, si stima, potrebbe giungere fino a 40.000, debba essere
denso e
totale. La tragedia è senza pari nell’ intera storia turca, e come
dice il
ministro Sukru Gurel « al di là di ogni immaginazione» . E tuttavia
dalle
rovine proviene senza tregua anche il regolare respiro tragico della
storia
e della politica di questo Paese, di cui troppo spesso siamo stati
più
pronti a giudicare le pecche che a percepire i problemi.
Un’ ordinanza governativa ieri ha ordinato ai bar e ai locali
notturni, pena
la chiusura, che in nessun caso si oda nelle loro stanze musica. Due
giorni
fa il primo ministro Bulent Ecevit si era curato di ricordare che la
guerra
contro le formazioni di Ocalan sarebbe proseguita, se del caso.
Ambedue
queste mosse politiche suonano particolarmente penose nel mezzo della
tragedia. Sembra plausibile che il lungo e severo divieto di far
musica sia,
oltre che un ragionevole atto di dolore di fronte a tanta strage,
anche un
modo di onorare, nella Turchia che si sforza di essere un Paese laico
abitato da musulmani (e non ci sarebbe nessuna dicotomia
teoricamente: anche
l’ Italia è un Paese laico abitato da cristiani), la severa tradizione
della
religione della grande maggioranza; e anche certo di tenerne buoni
gli
integralisti che non mancano e che sono sempre in guerra contro la
scelta
laica del governo. La minaccia di chiudere, addirittura, i locali
riporta al
pugno di ferro che la Turchia esercita fin dai tempi di Kemal Ataturk
con
grandi e frequenti violazioni dei diritti civili, ma all’ interno di
uno
scontro reale e anche disperato fra la scelta occidentale e la
risacca
autocratica e confessionale mediorientale.
E anche in un momento come questo il richiamo di Ecevit allo scontro
con i
curdi ci riporta dietro la tragedia. La Turchia è un Paese oggi
condannato a
orribili sofferenze, è sempre dilaniato, destinato a mille scontri e
strazi
in cui essa stessa si è avvolta forse anche perché lasciata troppo
sola, e
troppo facilmente condannata. Forse l’ umana simpatia nata dopo il
terremoto
può compiere almeno il piccolo miracolo di renderci più sensibili a
una
storia tirata avanti con i denti stretti, a una scelta quasi
impossibile non
beneficiata nè dai miracoli del cielo, né tanto meno dall’ aiuto
dell’ Occidente cui la Turchia si è sempre ispirata.