DIRETTORE DEL CENTRO DI STUDI STRATEGICI DELL’ UNIVERSITA’ DI BAR I LAN INTITOLATO A BEGIN E SADAT « Per la Lega Arafat rimane un grande pe ricolo» Il professor Inbar: preoccupano le sue sobillazioni e l’ ondata di t errorismo suicida
venerdì 29 marzo 2002 La Stampa 0 commenti
                
GERUSALEMME 
TUTT'ALTRO che stupito: così il professor Efraim Inbar, direttore 
del 
Centro Besa (dalle iniziali di Begin e Sadat) di Studi Strategici 
dell'Università di Bar Ilan. Metà degli Stati arabi (dieci su 
ventidue) non 
hanno mandato delegazioni di massimo livello; il discorso di Arafat 
sul 
teleschermo è stato cassato all'ultimo momento e i palestinesi sono 
usciti 
di sala per poi rientrarvi; la proposta del principe saudita è uscita 
in 
tono minore, i soliti toni sovreccitati si sono mescolati al senso 
della 
stanchezza del conflitto. 
Professore, è sorpreso che un summit di solidarietà con Arafat gli 
abbia 
invece addirittura impedito di parlare al pubblico dei delegati? 
« Per niente: l'antipatia della maggior parte del mondo arabo per il 
leader 
palestinese è nota. Lo considerano un pericolo pubblico. Finchè si 
tratta di 
lodarlo in pubblico, di compiangere la sofferenza del popolo 
palestinese, va 
tutto bene. Ma è considerato un terribile disturbatore, un 
estremista, 
oppure un opportunista» . 
Ma la solidarietà con l'Intifada è il lead di tutti! 
« Preoccupano il suo atteggiamento sobillatorio e l'ondata di 
terrorismo 
suicida durante questa delicatissima situazione di guerra americana 
contro 
il terrorismo, mentre Zinni tenta disperatamente di ottenere da lui 
un 
cessate-il-fuoco e non ci riesce. Questo summit doveva 
caratterizzarsi agli 
occhi del mondo per una proposta di pace: non è strano che gli 
appelli di 
Arafat, che chiede tutto a tutti e non concede niente a nessuno, non 
vengano 
ascoltati volentieri» . 
Ma che interesse avevano i siriani a spingere i loro vassalli 
libanesi a 
impedire ad Arafat di rivolgere un pubblico saluto al mondo arabo? 
« Interpretazioni precise, al momento non possono essercene. Siamo di 
fronte 
a un'arena in cui si svolgono giochi di potere e di egemonia molto 
complessi. E dietro, la minaccia di Nasrallah e degli altri 
integralisti 
islamici, più forte del solito. Mubarak non è andato, sapendo così di 
sminuire l'incontro: non a caso i giordani, della stessa linea 
moderata, lo 
hanno seguito a ruota. Bashar Assad ha fatto la solita parte del duro 
e i 
libanesi gli sono andati dietro: ha usato il summit come un podio e 
ha 
ridimensionato la proposta di Abdallah. Non ha simpatia per Arafat, 
specie 
quando questi cerca l'egemonia» . 
Lei pensa che questo summit abbia un significato più pacifista, che 
la 
proposta saudita possa avere un seguito? 
« Sinceramente, non vedo nessuna possibilità che esca dal carattere 
che ha 
sempre avuto: public relations, gara di leadership, buoni titoli sui 
giornali...» . 
Lei è pessimista su qualsiasi possibilità di un esito positivo del 
conflitto 
attuale? 
« Nel lungo termine, non sono pessimista. Sono paziente: abbiamo visto 
un 
paese come l'Egitto, forse quello che storicamente si è contrapposto 
più 
direttamente all'esistenza stessa di Israele, firmare per primo la 
pace. Lo 
stesso ha fatto poi la Giordania. La verità è che tutto insieme il 
mondo 
arabo, poiché è preso dalle sue convulsioni interne, non addiverrà 
mai a una 
pace. Solo un'intesa diretta come quella che nacque fra Begin e 
Sadat, al di 
là di ogni summit collettivo, può ottenerla» . 
Lei pensa che Israele abbia fatto bene a non lasciare andare Arafat? 
« Le cose non stanno così : Sharon ha detto che Arafat poteva partire e 
tornare se avesse dichiarato il cessate il fuoco e non vi fosse stato 
un 
grande attentato. Bastava che si dichiarasse e sarebbe subito 
partito. E 
visto che non lo ha fatto, e non bisogna dimenticare che Zinni è qui 
solo 
per ottenere queste tre parole, "cessate il fuoco", perchè accettare 
qualunque cosa senza richiedere ad Arafat un gesto di scambio? Era la 
tecnica di Oslo, e non ha funzionato» . 
            