Dietro la vicenda la rivalità tra ebrei di destra e di sinistra, e an che lo zampino degli Stati Uniti Una guerra civile al museo dell'Olocausto P er Arafat oggi a Washington un invito fatto, disdetto e rifatto
giovedì 22 gennaio 1998 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV
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Si dice che Benjamin Netanyahu sia uscito all'una di notte dal
secondo colloquio con Clinton come un pugile suonato; a prova di
questo si narra anche che sia addirittura entrato (primo premier
nella storia della Casa Bianca) nella toilette delle donne. In
Israele si commenta che sia stato sottoposto "a moderata pressione
fisica", come recita la legge che descrive in realtà i limiti
della tortura quando si minacci un'esplosione terroristica. In
attesa dei risultati concreti dell'incontro si contrappongono due
verità : il lunghissimo secondo match è servito solo a rafforzare
l'antagonismo fra gli Usa e Israele, e nessuna decisione è stata
raggiunta. Oppure, fonti interne dicono che Netanyahu avrebbe
promesso uno sgombero dalla Cisgiordania pari al 15% ma da condursi
in fasi successive, collegate alla "reciprocità " delle mosse dei
palestinesi contro il terrorismo. Arafat, che sta per arrivare a
Washington, dirà la sua su questa ipotesi, sempre che sia vera. Il
15% non è certo poco rispetto all'8% che Israele ipotizzava, ma
l'America, e certo anche Arafat, richiedevano uno sgombero
immediato.
Dunque, se nonostante la pressione americana siamo di fronte ad
un'ennesima situazione di stallo, questo round di incontri sarà
ricordato forse soltanto, e forse soprattutto, per un'altra ragione
che non la pax americana: ovvero, la visita di Arafat al Museo
nazionale Usa dell'Olocausto, situato appunto nella capitale. Sarà
la prima volta che un premier arabo visiterà con un gesto pubblico
il memoriale allo sterminio dei sei milioni di ebrei; non è certo
per caso, dunque, che questo parto avvenga con una serie di doglie
pratiche e ideologiche che potrebbero intitolarsi "Dell'uso
improprio della storia".
La vicenda. L'iniziativa è stata di un certo Aaron Miller, che
con Dennis Ross, dall'interno del direttivo del museo, ha fatto la
proposta ad Arafat. Arafat ha acconsentito. Una parte della
leadership ebraica americana, denunciando tout-court "il successore
di Hitler", ha chiesto di ritirare l'invito. Allora il direttivo
del museo ha invitato al capo palestinese un messaggio in cui lo
invitava come "privato cittadino" e non con la sua carica di
Presidente. Clinton si è infuriato, e ha costretto il museo a
tornare sui suoi passi e a mandargli un invito come Vip. Arafat ha
accettato, almeno fino a questo momento.
Intanto in Israele è scoppiata l'ira di Dio, mentre il museo di
Yad Mordechai, un memoriale dell'Olocausto di proprietà dei
kibbutz di sinistra, insisteva molto per una visita di Arafat nei
suoi locali. Anche il museo di Yad Va Shem, il più importante
museo dell'Olocausto del mondo, situato a Gerusalemme, e il
memoriale di Lohamei Ha Ghettaot hanno già invitato Arafat per una
visita.
Ora, è chiaro che gli americani volevano, come sempre, stendere
la loro ala ecumenica su un gesto ritenuto educativo, propedeutico
a migliori rapporti fra ebrei e palestinesi, ed è per questo che
hanno dato il via all'iniziativa; ed è chiaro anche che Arafat
voleva dar prova di una condiscendenza verso gli ebrei che potrà
servire domani per coprire l'ostilità verso Israele e il sionismo;
è altresì evidente che i kibbutz di sinistra volevano far vedere
agli ebrei di destra (compreso Netanyahu) che le loro mosse sono
spregevoli e pericolose per la pace; da parte loro gli ebrei di
destra volevano ancora una volta dimostrare il vecchio teorema che
serve alla loro politica: gli ebrei devono solo pensare a
difendersi.
In Israele una famosa commentatrice di sinistra, Amira Hass, ha
addirittura sostenuto che se si deve cercare la comunicazione fra i
popoli, allora bisogna invitare a Yad Va Shem i palestinesi che un
tempo abitavano sul pezzo di terra dove ora è situato il museo, e
comparare la loro disgrazia con quella ebraica. Voci dal ministero
degli Esteri suggeriscono a mezza bocca che l'idea che Arafat
avrebbe desacralizzato l'Olocausto sia stata suggerita agli
americani da ambienti legati al governo israeliano, forse forse
persino dall'ambasciatore di Gerusalemme in America... Sempre più
difficile.
La verità è che l'appropriazione e la gestione politica della
Shoah è ormai un'abitudine inveterata di questa metà di secolo;
la storia, come dice l'indimenticabile autore dei più bei testi
sul Medio Oriente, Bernard Lewis, sono le parole che un qualunque
storico, o un politico, scrivono; e non la realtà degli eventi,
che resta chiusa nello scrigno del passato, e nella memoria degli
uomini sinceri. Qui ce n'è poca traccia.
Fiamma Nirenstein
