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Destra e sinistra: categorie obsolete di vedere il nostro futuro

giovedì 14 marzo 2013 Diario di Shalom 0 commenti
Shalom, 14 marzo 2013

Sbaglia chi pensa che i valori dell’ebraismo siano tutelati da una sola parte politica. Troppi, da tutti gli schieramenti, sono silenziosi e permissivi davanti alla crescita dell’antisemitismo, all’odio viscerale contro Israele, al fanatismo islamico.
Non vi è per l’ebraismo della diaspora questione più spinosa del rapporto fra la destra, la sinistra e gli ebrei. Ambedue le parti, nel corso della storia lontana e recente, hanno dato prova di una violenta pulsione antisemita, chiunque non sia totalmente cieco lo vede. Se la destra ha nella parte più infausta del suo curriculum macchie atroci come l’antisemitismo genocida, con rimarchevoli eccezioni anche nei momenti più pericolosi, la sinistra non può vantare davvero una fedina pulita.

Al nazifascismo ha fatto da contraltare l’antisemitismo comunista che ha radici profonde nei testi stessi del marxismo, che può contare su una quantità di teorizzazioni che non hanno niente da invidiare a quelle nazifasciste, che si concretizza in uccisioni giustificate da processi farsa, in deportazioni, nel progetto di sterminio evitato per caso dalla morte di Stalin nel 1953, quando ormai la congiura dei medici ebrei avrebbe, nei piani del comunismo, giustificato una persecuzione di massa. Quando mio padre Alberto, o Aron, tornò in Polonia dopo essere approdato in Europa con la Brigata Ebraica, e arrivò fino al suo villaggio natale, Baranov, a cercare le tracce della sua famiglia sterminata dai nazisti, subì terribili minacce da parte polacca che lo costrinsero a lasciare il suo paese: il comunismo, condito dalla recente battaglia contro i nazisti, non era un deterrente sufficiente a bloccare l’antisemitismo popolare. Dopo questo episodio, mio padre fu trattenuto per quattro anni in Polonia fino al 1953 dal potere comunista, un ebreo sionista che veniva da Israele, sospettato forse di essere una spia, bloccato per quattro anni lontano dalla sua nuova famiglia. Ogni totalitarismo ci ha messo in pericolo, e se qualcuno si ostina a pensare il comunismo come qualcosa di estraneo alle caratteristiche del totalitarismo, legga qualche libro sul gulag. Eppure gli Ebrei nel dopoguerra aiutarono subito a montare una tesi che negli anni, nonostante le mille prove a contrario, è diventata la più irragionevolmente popolare. Ma gli ebrei che si aggiravano per le rovine fumanti dell’Europa in cui avevano immaginato invano la loro integrazione a partire da metà Ottocento cercarono, dopo il disastro, una patria ideale che non fosse quella dell’ebraismo che li aveva condotti nei campi e molti, in modo naturale, approdarono nel mondo che aveva combattuto il nazifascismo, e lo chiamarono, genericamente e anche imprecisamente, sinistra. Da allora gli ebrei di sinistra hanno rivendicato, con tutto quello che c’è stato fra ieri e oggi, che gli ebrei siano ontologicamente parte della sinistra, e, per converso, la sinistra ha rivendicato, molto ben coadiuvata, una sorta di reame ideologico che ha a che fare con l’ebraismo. Ambedue gli universi non meritano da parte ebraica nessun credito ideologico, semmai di volta in volta un interesse politico. Ma la differenza fra destra e sinistra consiste anche in questo: nessun ebreo ha mai sostenuto che l’ebraismo è ontologicamente di destra, né la destra ha richiesto un’adesione aprioristica degli ebrei. Invece l’altra parte, come dicevamo, sì. Perché si è tanto consolidata l’idea di un matrimonio ontologico della sinistra con gli ebrei? Per citare qualcuna delle ragioni, il tema della lotta contro la Shoah è stato ulteriormente complicato da quello del multiculturalismo che propone che l’ebraismo sia una cultura ospite, ancorché importante.
Ma se guardiamo alla storia dell’Occidente, l’ebraismo è culla, e non ospite, della cultura europea, e l’immaginarsi parte della presenza “straniera” fa parte di un trend generale di confusione identitaria, che ama (penso alle vezzose e in fondo frivole pagine di Natalia Ginsburg sulla comunità ebraica torinese stupefatta di fronte all’avvicinarsi della Shoah, come poteva capitare una simile avventura a una famiglia così per bene, così poco ebrea?) la diluizione della pesante, consistente eredità ebraica con un’identità fragile e permeabile tanto da poterla condividere con gli amici non ebrei di sinistra. Paradossalmente così definire l’identità ebraica ha significato cercare quante più similitudini possibili con chi non lo è, immaginare che l’ebraismo si possa definire attraverso l’universalismo, attraverso l’assorbimento di un universo morale ed estetico mutuato da quanto più colpisce la fantasia progressista. Ne sono protagonisti gli stranieri poetici e inermi come l’ebreo dello shtetl, i senza radici, le vittime del potere indifese, con una cultura sostanzialmente etnica, mai nazionale. L’idea basilare che alla nostra religione fa da base l’idea di nazione, pare completamente cancellata da questa ideologia.

E’ una spaccatura reale del mondo ebraico e di fatto, mi dispiace, la parte che si definisce di sinistra marginalizza, stavolta si, ontologicamente, l’importanza di Israele di fronte a quella dell’identità diasporica dell’ebreo. Così non fanno specie, anche dopo tante fragili prove di questo modo di pensare, le argomentazioni di Anna Foa e di Anna Segre (e anche fra le righe di Sergio Della Pergola) quando sulla rivista dell’Unione delle Comunità, scandalosamente unilaterale, spiegavano a schiera perché Sharon Nizza non aveva sostanzialmente diritto di parlare del suo ebraismo nell’ambito della sua candidatura alla Camera. Intanto per loro necessariamente (ridicolmente data la biografia molto densa della pur giovane Sharon nell’ambito della lotta per i diritti umani, bastava informarsi un pochino), l’appartenenza a una lista non di sinistra come quella del PDL violava “il rigore etico, la giustizia verso le donne, l’impegno per la scuola e la cultura...”.

Per loro questi erano valori di sinistra, e chissà da dove avevano tratto questa stravagante idea, contraddetti dalla biografia di tanti, compresa me stessa, e sfido chiunque su questo terreno, che nella sinistra non si riconoscono più affatto, dopo le campagne intensive e lesive di delegittimazione che essa ha costruito, senza nessuna, ripeto nessuna, base fattuale, contro Israele. La sovrapposizione di valori ebraici con quelli della sinistra fa ormai sorridere chiunque, specie dopo quello che abbiamo visto in questi anni di disprezzo e diffidenza, di odio e delegittimazione antisemita nei confronti di Israele. Ok, per chi è amante della ritualità ripetiamo tranquillamente che le legittime critiche allo Stato d’Israele non sono antisemite. Ma è legittimo metterne in discussione la legittimità, la democraticità, il diritto all’autodifesa? E’ legittimo accusare Israele di essere un Paese di apartheid? Di assediare con crudeltà e premeditazione gli abitanti di Gaza, di perseguitare i palestinesi, di perseguire un’assurda e ideologica politica di espansione per gusto imperialistico e ambizioni illegittime?
E’ dagli anni ‘50, per intrinseca e indispensabile ispirazione filoterzomondista che si gettarono le basi dell’attuale delegittimazione: lo Stato d’Israele venne accusato di imperialismo e di connivenza col più bieco imperialismo. Da allora la verità della storia di Israele e quindi della storia recente degli ebrei è stata seppellita sotto un cumulo di falsa informazione ispirata dalle teorie terzomondiste che hanno fatto dei palestinesi, danneggiandoli a loro volta gravemente, un falso idolo, un’entità astratta pietrificata nel suo ruolo di vittima, al di là di ogni sviluppo reale della vicenda del rapporto fra le due parti. Israele, e qui bisogna essere chiari, è stata identificata non dalla destra, ma dalla sinistra, nel ruolo di aggressore, di arbitraria presenza nell’area, persino, nonostante la realtà storica, di colui che ha impedito ogni progresso per una spartizione fra le due parti. Dai primi passi dello Stato d’Israele, dopo che si era esaurita la spinta propulsiva legata all’idea che l’ideologia proto socialista del Paese avrebbe potuto farne un alleato della Russia sovietica, attraverso la strada che porta nel ‘52 al processo Slansky, al sostegno comunista al rais egiziano Nasser che aveva una chiarissima intenzione genocida nei confronti del popolo ebraico, via via verso la continua ripetizione in Italia da parte del giornale “l’Unità” delle intenzioni espansionistiche di Israele fino allo scontro verticale e definitivo che accompagna la guerra dei Sei Giorni, è stato un ingiustificabile crescendo mitigato da alcuni uomini di buona volontà che, dall’interno della sinistra hanno cercato di riportare alla ragionevolezza mentre si correva verso l’antisemitismo.
Questi uomini di buona volontà hanno anche patito con me che sotto l’egida dei diritti umani le tradizionali case della sinistra, come l’ONU, si stessero trasformando in casse di risonanza dell’odio islamista contro Israele e persino della promessa di Ahmadinejad di farlo a pezzi. Ho raccolto molto dolore per l’atteggiamento della sinistra da parte di amici che militano in quel campo, lavorato insieme contro l’antisemitismo nero e rosso e anche per Israele in iniziative audaci, come le manifestazioni durante le due guerre a Gaza in cui cortei di fanatici infestavano l’Europa gridando “Hamas Hamas ebrei al gas” e ditemi voi se erano cortei di destra e a nessuno di loro è mai passato per la testa che io potessi non essere ebrea perché ero stata eletta in Parlamento nella lista del Pdl. Sapevamo per esempio, andando insieme a Budapest a protestare (come abbiamo fatto) contro Jobbik, io e un parlamentare del Pd in schiera con altri parlamentari europei, che facevamo solo il nostro dovere. Ho per altro trovato, parlando di circostanze gravi ma totalmente diverse, molto dispiacere nelle file della sinistra nella scriteriata richiesta di Bersani (insistente, ripetuta nella campagna contro Renzi che aveva tutt’altre posizioni) di riconoscere all’ONU uno stato palestinese stabilito unilateralmente. Un autentico attentato al processo di pace, un volgere la testa altrove di fronte al rifiuto palestinese di sedersi a un tavolo, un segno di disprezzo ostentato per la sicurezza di Israele. In Toscana si direbbe: “Troppo sarebbe il dire”, ma è indispensabile ora concludere con un’osservazione: destra e sinistra di fronte alla grande crisi economica e ideologica, allo spostamento massiccio di interessi e modi di ragionare che caratterizzano questo tempo, sono categorie obsolete. Questo è un altro articolo, lo scriverò. 

Ora, non sappiamo se siano di destra o di sinistra le ridicole ma feroci esternazioni di Grillo che sostiene che in Iran si sta benissimo, che le donne vi godono di tutti i diritti e che Ahmadinejad è una brava persona, che punta il dito contro Israele, che accusa Memri di essere una succursale del Mossad, accusando gli ebrei e gli americani della solita congiura internazionale.
Non sappiamo se siano osservazioni di destra o di sinistra perché le fa Grillo, ma sappiamo però che sono antisemite. Lo sappiamo anche quando leggiamo, purtroppo a migliaia, le esternazioni islamiste contro Israele e gli ebrei, e ne vediamo le conseguenze nella pavidità dell’Europa che cerca di compiacerne gli autori. Sappiamo che l’antisemitismo cresce quando vediamo che Golden Dawn e Jobbik non sono fenomeni isolati, che in Francia l’antisemitismo, di matrice islamica e antimperialista (diciamo) dopo la strage di Tolosa è cresciuto e non diminuito. Dunque sarebbe ora, proprio perché siamo in un’epoca che va oltre la modernità e anche la postmodernità, poiché il secolo scorso è chiuso e quello corrente si fa sempre più beffardo, di attenerci ai segnali più semplici e più chiari. E ce ne sono in abbondanza. Le parole sono pietre, lo sono per tutti, e quindi si prega di porgere l’orecchio, di leggere bene Memri, i mille siti che denunciano l’antisemitismo di destra, i pochi che denunciano quello di sinistra, di non strologare invano su chi è ebreo e chi no e di fare tutti la medesima battaglia a destra, a sinistra, con i vari grilli di turno, con i fascisti che crescono in Europa, con i musulmani che non ci amano.

Tratto da Shalom

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