DEMOCRAZIA LO SCENARIO INTERNAZIONALE HA FORZATO LA MANO AL « FARAONE» Scelta inevitabile dopo l’ Iraq
mercoledì 7 settembre 2005 La Stampa 0 commenti
Quando dalle elezioni egiziane odierne il presidente Hosni Mubarak uscirà
di nuovo eletto dopo 24 anni al potere, nessuno certo si stupirà : le leggi,
il denaro, i giornali, la paura e l’ abitudine concorrono tutti quanti al suo
successo ancora oggi, per la quinta volta, e a 77 anni.
Ma stavolta la vittoria di Mubarak, anche se scontata, non avviene nella
solita morta gora delle elezioni cui gli egiziani sono abituati, in cui vota
sì o no su una scheda che porta il nome del solo raì s. Stavolta all’ ancora
incredulo elettore egiziano si offrono dieci contendenti. Non solo, stavolta
la campagna elettorale di Mubarak ha ricordato molto più di qualsiasi altra
campagna del passato una vera richiesta democratica ai votanti di consenso
per la sua persona e per il suo programma.
La scelta molto più che determinata da cause interne è legata all’ enorme
variazione del contesto mediorientale introdotta dalla guerra in Iraq e alla
conseguente rincorsa a occupare un posto centrale nel cuore della politica
americana per la democratizzazione del Medio Oriente. L’ Egitto si sta
meritando i galloni di Paese più moderato dell’ area, degno di vedersi
affidare nei prossimi giorni il confine con Gaza finora controllato dagli
israeliani, quello il cui raì s progetta (si dice) una visita a Sharon nel
suo ranch già a novembre, quello più attivo nella caccia ai terroristi.
Nel suo discorso di apertura della campagna elettorale al Parco al Azhar del
Cairo Mubarak ha persino presentato, accolto da una speranzosa, commovente
ovazione, una piattaforma di politica interna che promette quattro milioni
di nuovi posti di lavoro. Al pubblico estatico ha detto: « Lavorerò duro per
guadagnarmi la fiducia di ciascuno di voi» . Una dichiarazione inusitata da
parte di un personaggio che ha gestito il potere così a lungo e senza
riguardi; un presidente che porta senz’ altro, dopo tanti anni di potere,
grandi responsabilità per la situazione di miseria dei suoi compatrioti,
della corruzione imperante, della gestione autoritaria del potere
giudiziario, della persecuzione delle minoranze.
Adesso però Mubarak fa di tutto per apparire cambiato: in pubblico, alla tv,
sui giornali ha cercato di fornire un’ immagine non marziale e quanto più
possibile giovanile, indossando, come al Parco, giacchetta scura aperta,
camicia bianca e niente cravatta. I suoi due antagonisti più importanti sono
Numan Gumaa del partito Wadf e Ayman Nur, fondatore di al Ghad (Domani), un
quarantaduenne impavido che dopo essere andato avanti e indietro dal carcere
per anni adesso propone un futuro liberaldemocratico al Paese. Lo Wadf
invece è un partito nazionalista liberale, il maggiore dell’ opposizione,
quello che, significativamente, ha avuto fin’ ora sette seggi su 454 del
Parlamento egiziano. L’ Egitto sente oggi il vento di rinnovamento
mediorientale che spira sulle folle dei diseredati del Cairo, sui poveri
costretti a lavorare lontano da casa, la stampa è eccitata come non mai, e
difficilmente tornerà nell’ armadio.
La campagna elettorale è durata soltanto 18 giorni, svariati gruppi non
hanno avuto la possibilità di presentarsi a causa di norme restrittive, e
certo il dibattito non è stato approfondito, ma ha dato la sensazione di
innalzare il Paese sull’ onda di un grande cambiamento. Si può prevedere che
la gente del popolo voterà Mubarak non per costrizione, ma semplicemente per
paura o per pigrizia, ma se il Medio Oriente (in Libano, in Siria, in
Israele e Palestina, in Libia, nel Golfo, in tutte le aree dove è in corso
un cambiamento di varia natura) non si fermerà difficilmente i prossimi sei
anni di Mubarak saranno come quelli precedenti. La gente osa dimostrare per
le strade, lamentarsi della propria infima condizione economica,
rimproverare i potenti per i suoi indicibili guai: disoccupazione,
corruzione, servizi pubblici inesistenti sono tutti argomenti di cui Mubarak
ha dovuto parlare invece di sventolare la solita gloria imperitura
dell’ Egitto come stato leader del mondo arabo e a usare la retorica
antisraeliana o antiamericana come unico collante politico.
Le elezioni hanno svegliato, nella sacrificata società egiziana la voglia di
partecipare e di contare. Molti intellettuali per la prima volta si sono
avventurati con duri commenti antigovernativi sulle pagine dei quotidiani e
dei periodici. Il movimento Kifaya ovvero « Basta» ha preso la piazza
parecchie volte nelle ultime settimane. È chiaro che in questa temperie i
Fratelli musulmani che non si presentano alle elezioni, col loro vasto
consenso, rischiano di diventare un focolaio inesauribile di aperto
aggressivo integralismo islamico, mentre in Egitto con gli ultimi attentati
si è affacciata al Qaeda. Questa sarà solo una delle contraddizioni che
l’ Egitto dovrà affrontare nei prossimi sei anni, mentre Mubarak forse
cercherà tuttavia di assicurare la successione a suo figlio Gamal: ma una
rivoluzione arancione, sempre che il contesto internazionale regga, potrebbe
distoglierlo da questa intenzione e spingerlo a traghettare il Paese verso
la modernità .