Fiamma Nirenstein Blog

DAI BANCHI DI SCUOLA ALL’ ABC DELLA VIOLENZA Tra i bimbi che giocano con la morte Tirano le pietre per diventare martiri dell’ Intifada

mercoledì 11 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
I bambini delle pietre in molti si chiamano Muhammad come il piccolo che tutto il mondo ha visto morire in diretta nel fuoco incrociato fra israeliani e palestinesi a Gaza. Vogliono essere shahid, martiri, come lui. Come lui diventare gli eroi islamici e nazionali. Hanno in genere quindici anni e ne dimostrano due o tre di meno, come spesso i bambini meridionali. Sono vestiti con magliette molto colorate, ornate da scritte sportive, da marchi americani. Hanno in molti i capelli dritti e neri di brillantina, vogliono essere belli quando vanno a tirare le pietre al check point dove gli israeliani stanno dentro le loro camionette. Li incontriamo al campo profughi di Deheishe, quello dove il Papa andò in visita nei pressi di Betlemme. Si preparano alla loro battaglia quotidiana che avrà luogo a mezzogiorno. Quindi la scuola che è coordinata alle manifestazioni, sarà chiusa. Oggi la manifestazione programmata a cui parteciperanno non è alla Tomba di Rachele, un luogo sacro agli ebrei e pertanto molto caldo, ma all'incrocio precedente. I bambini delle pietre agiscono secondo un doppio standard, assai interiorizzato, della spontaneità che può avere un piccolo essere umano che vuole giocare e non sa cos'è il pericolo e la morte, e l'organizzazione di Fatah che ne guida i passi. Lungo la strada di Betlemme, si vede quanto è cambiata la situazione dai tempi dell'accordo di Oslo. I negozi si sono moltiplicati, crescono a grappoli gli edifici con le antenne che captano il mondo arabo. Le automobili sono molte di più . Molti abitanti del Campo Profughi vivono ormai fuori da esso, nell'Autonomia Palestinese. Samir Mahmud, 15 anni, stamani ha fatto colazione con la sua mamma: thè , pane, zatar, uova e dolcetti. La mamma non sa che andrà a tirare i sassi, ma gli ha detto lo stesso di stare a casa. « Io faccio quello che mi sembra giusto e quello che mi piace» . Omar Manassram, di quattordici anni e Mohammed Effendi di quindici vengono davanti all'edificio della scuola presto, perché verso le dieci un autobus verrà a prenderli per portarli a Betlemme centro con un'altra cinquantina di bambini. Omar, il cui padre è professore di chimica e che vuole esser chimico a sua volta per inventare qualcosa di molto importante, è il responsabile presso Fatah dell'organizzazione dei ragazzi del nono grado scolastico, cioè la prima liceo. Questi bambini ci raccontano che oggi riceveranno a Betlemme alle dieci: « slogan, striscioni, cartelli, spiegazioni» . A mezzogiorno ci sarà la manifestazione. A scuola i ragazzi hanno ricevuto dai maestri indicazioni su quello che accade, e me lo spiegano così : « La nostra patria è in pericolo: gli ebrei vogliono occupare tutta la nostra terra, hanno violato la moschea di Al Aqsa, uccidono i nostri fratelli e i nostri compagni di scuola. Noi stessi abbiamo visto con i nostro occhi dei ragazzi colpiti dalle pallottole al petto. Noi difendiamo con la vita la nostra patria» . Sapete che si può morire? « Certo, lo abbiamo visto» . Fra i maestri c'è qualcuno che vi consiglia di non andare? « Nessuno. Sappiamo che bisogna andare, invece» . I maestri e i vostri organizzatori sono d'accordo? « Pensiamo di sì . Ma la mamma non vuole, e mio padre - dice Samir - mi picchia se sa che sono andato» . I ragazzini delle pietre non devono, non possono aver paura. Quindi all'inizio della nostra conversazione spiegano cose difficili da ascoltare guardando le loro bellissime facce di adolescenti: « Sono pronto a morire, per essere un martire, uno shahid. Non vedi che anche gli altri miei amici sono pronti a essere martiri, che sono anzi qui per morire? Non è già accaduto anche ad altri? Perché io non dovrei accettarlo, e anzi essere contento?» Così dice Omar, che è il responsabile del Fatah. Ma anche l'altro gli dà man forte: « Mi piacerebbe, certo, avere anch'io un fucile per difendermi» . « Cosa sento quando tiro un sasso? A volte ho paura - dice Mohammed -, a volte mi viene un grande coraggio perché sono arrabbiato. Comunque dopo che ho tirato il sasso cerco di scappare: mi proteggo, e mi hanno anche spiegato che così devo fare» . Quando vedete intorno persone che sparano, cosa pensate? « Che difendono il nostro popolo» . Sapete cos'è il Processo di Pace? Lo sanno, ma pensano che il « rais» ha fatto bene a smettere di parlare con gli israeliani che vogliono solo distruggere il popolo palestinese. E Barak non è meglio di Netanyahu? No, sono tutti eguali. Mohammed Effendi ha partecipato a vari incontri con ragazzi ebrei organizzati a in un albergo di Gerusalemme. Come sono i ragazzini israeliani? « Sono simpatici. Andavamo d'accordo» . E allora perché non continuare a parlare? « Perché adesso abbiamo capito, dopo tutti questi scontri e dopo che 100 persone sono morte che possiamo solo combatterli» . Samir è molto preciso: « Non ho nessun bisogno di avere fra i miei amici dei ragazzi israeliani. Mi bastano i miei compagni di scuola» . C'è qualcos'altro che sapete degli ebrei? A scuola si studia anche la loro storia? Sapete cosa vuol dire Shoah? « No» . Avete mai sentito dire che gli ebrei sono stati sterminati in Europa nella misura di sei milioni, uomini donne e bambini? Mai sentito dire. Sanno invece la storia di Sabra e Chatila, ma non sanno che Arafat è premio Nobel per la pace. Anzi, non sanno cos'è il premio Nobel. I ragazzi delle pietre sperano che gli ebrei se ne vadano da Israele. Hanno, spiegano, tutti i motivi di pensare che possano reimbarcarsi verso tutti i posti da cui sono venuti. Sperano di fare come gli Hezbollah, di buttarli fuori. E quelli che stanno qui da tre generazioni? Lo stesso. Nessuno pensi di trovare la minima traccia di malizia o di ferocia in questi bambini: la loro innocenza è totale, la loro anima è una tabula rasa in cui non si riesce a trovare neppure la minima traccia della nobile antica cultura araba, della sua curiosità . I frutti di sette anni di processo di pace sono occultati dietro l'orribile schermo della politica. Ma nel desiderio di Omar di fare il chimico e di Mohammed di essere medico si trova traccia di qualcosa di nobilmente arabo e anche di moderno. Ma Omar e Mohammad non sono mai, mai andati al cinema in tutta la loro vita. Non siedono mai in locali pubblici fuorchè a scuola o al Fatah con altri bambini. Il football per strada è il loro unico divertimento. « Alla tv non c'è niente, solo politica» . Sulla porta delle scuola aspettano le ragazze, perché le femmine stanno in classe fino a mezzogiorno, e poi è il loro turno. La società mussulmana non è tanto libera da lasciarli parlare con le bambine: « Ma al giorno d'oggi - dice Mohammad - si riesce a comunicare con i bigliettini. Qualche volta si parla» . « E altrimenti - ride Omar - si va a spasso con gli amici e ci si prende in giro» . Omar, Mohammed, Samir sono lontano mille chilometri dal pensarsi come la generazione della pace: « Non abbiamo nessuna canzone di pace, la nostra canzone è l'inno nazionale "Biladi Biladi"» . Niente ballo, niente impegni sportivi. Conoscono Najna Karan, cantante libanese, Michael Jackson e un gruppo che si chiama Back Street Boys. Sanno qualche canzone egiziana. Hanno letto Agatha Christie. Alla domanda se leggono libri, gridano sì con grande passione. D'estate Fatah organizza per loro campi paramilitari che insegnano a combattere. « Non credo che siamo la generazione della pace. Non abbiamo una terra, non abbiamo Gerusalemme, non abbiamo niente, la pace non è possibile» .

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.