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Da Gerusalemme a Davos la rivoluzione di Donald

domenica 28 gennaio 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 28 gennaio 2018 

Solo 72 ore dopo il discorso di Pence alla Knesset che ha stabilito un primato nella solidarietà americana con Israele (la vostra battaglia è la nostra battaglia" e "quest'aprile (nel 70enario) festeggerete il giorno in cui rispondete alla domanda biblica: può un Paese nascere in un momento, una nazione sorgere in un giorno?” Davos ha segnato un passo ulteriore nella strada della proposta americana di considerare il processo di pace in Medio Oriente ex novo, abbandonando la strada inutile di Gerusalemme divisa fra Israele e palestinesi. E' una rivoluzione politica e conoscitiva che sembra prendere velocità: mentre la stampa internazionale si esercitava nelle ore scorse sull'isolazionismo americano, di fatto l'amministrazione Trump muoveva passi innovativi  nella politica mondiale di cui il Medio Oriente è da decenni un punto focale.

Quando il 6 di dicembre Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale dello Stato d'Israele, di fatto ha stabilito un punto di partenza per ogni colloquio di pace, e anche per la mentalità di tutti coloro che sono o si sentono implicati nel conflitto israelo-palestinese: dai contendenti stessi al mondo arabo nel suo insieme all'Europa. Già gli incontri fra Netayahu, Merkel, Macron, vanno molto meglio di prima, il PM israeliano testimonia maggiore comprensione.

Trump ha detto a Davos: abbiamo tolto Gerusalemme dal tavolo delle trattative. Come ha osato? Riconoscere una così semplice realtà come il fatto che Gerusalemme è la capitale d'Israele? E poi si è avventurato a parlare di finanziamenti americani sprecati, disprezzati col rifiuto di incontrare Pence, che finiscono nel terrorismo o nelle tasche dei corrotti? Anche questa, una realtà da tutti conosciuta.

Su Davos, di nuovo la risposta dei palestinesi è stata furiosa, ma questo non ha smorzato i toni americani e il letargo europeo e arabo è scosso dalla nuova idea mediorientale di Trump che ha messo sul tavolo senza mediazioni anche la questione dell'Iran. Sembrava una bestemmia la revisione del trattato obamiano-europeo sul nucleare del 2015, e adesso non c'è Paese importante che non vada dicendo che il trattato va conservato ma che bisogna bloccare l'Iran nella corsa balistica, l'espansione in tutto il Medio Oriente, i diritti umani.

Sia Macron, che la Merkel pensano ormai che con l'Iran non ci siamo capiti , e lo dicono a voce alta: può quindi darsi che i 120 giorni in cui devono scegliere di rivedere il trattato secondo le richieste di Trump non trascorrano invano.

Certamente il peggiore nemico del riconoscimento americano di Gerusalemme, dopo i palestinesi è il custode della Moschee, re Abdullah. Con Abu Mazen aveva condannato Trump all'esilio  dalle trattative. Ora, dopo attenta riflessione, a Davos il re ha cambiato posizione, insistendo che l'unica potenza che può mediare è l'America. Adesso la sfida per Trump è costringere gli israeliani a dare qualcosa di veramente valido a Abu Mazen in cambio del riconoscimento.

Che cosa significa questo in pratica? Abdullah non lo rivela al pubblico, anche se ha appena incontrato Pence. Sembra ormai chiaro che gli americani possono contare sulla mediazione con i palestinesi dei sauditi, degli egiziani, e di Abdullah stesso. Il piano esiste, i particolari cominciano a filtrare, sarebbe uno Stato del tutto autodeterminato e indipendente ma solo gradualmente entrerebbe in possesso di forze di sicurezza, la richiesta di rinuncia oltre il territorio del ‘67 potrebbe essere del 10 per cento, la capitale potrebbe essere est Gerusalemme e dintorni; il diritto al ritorno sarebbe abbandonato.

Dunque, Gerusalemme, lotta al terrorismo, sicurezza, aiuto economico.. e sullo sfondo una presa di posizione definitiva sull'Iran. Netanyahu ha parlato uno a uno con tutti i capi di Stato a Davos, proseguendo nella diplomazia dei nuovi mercati, della sicurezza e tecnologia; ha congratulato Kagame del Rwanda, che è diventato presidente dell'Unione Africana.  

I tempi cambiano: per la prima volta nella storia il Consiglio d'Europa ha inserito in una mozione parlamentare la richiesta all'Autorità Palestinese, sempre omaggiata, di fermare i pagamenti ai terroristi incarcerati, milioni di euro. E' vero la richiesta sta dentro una dichiarazione critica della politica israeliana, come no, ma Roma non fu fatta in un giorno.

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