DA BEN GURION A SHARON, DA DAYAN ALLA MEIR A RABIN, 54 ANNI DI OSTI LITA’ IN MEDIO ORIENTE 1948-2002 Le guerre di Israele
lunedì 15 aprile 2002 La Stampa 1 commento
GERUSALEMME
QUINDICI maggio 1948. David Ben Gurion legge la dichiarazione
d'indipendenza in una saletta del Museo di Tel Aviv. L'Onu ha
approvato
finalmente che gli ebrei abbiano una loro patria. Per gli ebrei è una
resurrezione meravigliosa dopo Auschwitz: Ben Gurion, alla sua gente
ferita
dall'Olocausto e già molto provata dallo scontro con gli arabi della
zona,
palestinesi e giordani, già subissata da molti attacchi terroristici
ai
kibbutz, ai mercati e agli autobus, annuncia che, secondo la legalità
internazionale, il popolo ebraico è dopo duemila anni « un popolo
libero
nella sua terra» . La gente danza per le strade. Anche Ben Gurion
canta l'Ha
Tikvà (l'inno della Speranza), ma immediatamente dopo si affretta,
convoca
una riunione: escono dalla stanza con lui, il volto pallido, gli
uomini che
entreranno nella leggenda: Golda Meir, Moshe Dayan, Rabin, Peres,
Ygal
Allon, Moshè Sharett, Shamir.
Non vanno d'accordo fra di loro, qualcuno ha scelto metodi violenti e
persino terroristici per cacciare gli inglesi e gli arabi, Ben Gurion
li
combatterà fino alla morte. Ma in questo momento si realizza l'unità
dei
momenti terribili, perché il Paese appena nato ha già ricevuto una
dichiarazione di guerra da cinque Stati arabi: gli eserciti di
Egitto,
Libano, Giordania, Siria e Iraq muovono contemporaneamente per
distruggerlo.
Le loro radio chiamano 700 milioni di arabi alla guerra totale. Gli
ebrei
che abitano in Israele sono circa 750 mila, per la maggior parte
appena
scesi dalle navi nel porto di Haifa. Molti provengono direttamente
dai campi
di sterminio europei. Uno di loro, Yaacov Sod, racconta oggi: « Scesi
dalla
nave, ci guardammo intorno: un mondo sconosciuto, odori, colori, voci
incomprensibili. In fila aspettammo il nostro turno: mi dettero un
fucile,
un numero di riconoscimento, ero di nuovo in gara per la
sopravvivenza, ero
il soldato 24467» .
Questo è il dna di Israele. Le armi sono poche e miserande,
provengono
soprattutto dai Paesi della costellazione sovietica, come la
Cecoslovacchia,
o dalla Francia. Ma sono armi vecchie, per lo più fucili, conservati
nelle
cantine segrete dei kibbutz. Ci sono due cannoni in tutto, che Ben
Gurion
destinerà al fronte di Gerusalemme. Ci si ingegna a costruire qualche
veicolo corazzato, a mettere insieme qualche Spitfire di eredità
britannica.
Con i baffetti all'inglese e l'amore per le acrobazie spericolate in
aria,
il futuro presidente dello Stato d'Israele Ezer Weitzman, ancora
ragazzino,
istituisce dal niente un'aviazione militare. « Guardai dalla collina
del
kibbutz Degania - racconta Meir Davidson -. Vidi un mare di mezzi
corazzati
e di soldati che avanzavano verso di noi. Una nuvola immensa. Di
corsa,
tornai alle baracche: avvertii che era per la vita o per la morte.
Nascondemmo i bambini, prendemmo le armi. Non so come li respingemmo» .
Mentre gli aerei egiziani bombardano Tel Aviv e risalgono la costa
Sud, i
giordani invadono Gerusalemme, gli iracheni il Nord. I Paesi arabi
immaginano di cancellare lo Stato degli ebrei, e invitano con
volantini e
con la radio i palestinesi ad andarsene: potranno presto tornare a
casa,
promettono. Su quest'ondata di fuga gli israeliani, dopo avere invano
invitato i palestinesi a restare, instaureranno anche una dura
politica di
espulsione: dai due fenomeni nascono i profughi, 600 mila, il cui
problema
ha fatto saltare a Camp David la trattativa israelo-palestinese.
Durante la
guerra, avviene anche una strage per mano israeliana, a Der Yassin:
200
morti palestinesi, fra cui anche civili. Resterà sulla coscienza di
Israele,
la prima ingiustizia compiuta da un popolo che di ingiustizie aveva
promesso
di non volerne più sapere.
La strada di Burma, fra i pini e sulla polvere bianca, fu inventata
dalla
disperazione, parallela alla strada principale dal mare a Gerusalemme
controllata dagli arabi, per spezzarne l'assedio. A Gerusalemme gli
ebrei
ormai morivano di fame e di sete. Con pietre e dinamite, con le
unghie e con
i denti, di nascosto, gli uomini di Ben Gurion costruirono, mentre ai
vari
angoli del Paese si sparava senza sosta, una strada per i soccorsi
(circa 80
chilometri, di cui una parte lungo la piana dove si trovava la
fortezza di
Latrun, caposaldo giordano) e lungo quella strada veniva saldato,
alla
meglio, un lungo primitivo acquedotto. Ben Gurion chiamava ogni
momento sui
telefoni da campo. Bisognava far presto, prestissimo: arrivare a
Gerusalemme
con le armi, il cibo, l'acqua.
I giordani guidati da Glubb Pashà , un inglese misterioso, un nuovo
Lawrence
d'Arabia, misero a fuoco a fiamme la Città Vecchia, dove gli ebrei
vivevano
da tempo immemorabile. Le sinagoghe vennero bruciate, la gente
cacciata
dalle case. Gerusalemme era ben più di una città affamata, piena di
feriti e
di profughi: era la sopravvivenza ebraica stessa. Anche per gli arabi
era
indispensabile simbolicamente, adesso che avevano uno Stato, cacciare
gli
ebrei una volta per sempre dal loro luogo più santo. La pur misera
artiglieria israeliana arrivò dalla via di Burma ad attaccare
Gerusalemme,
dopo quattro sconfitte nella piana di Latrun, dopo la furiosa
battaglia
della fortezza del Castel, ultima tappa prima di Gerusalemme, dove la
vittoria venne dopo la morte di quasi tutti i giovani soldati.
Israele, dopo il primo shock, si rincuora, cambia tattica: capisce
che
bisogna scuotersi, attaccare. Moshè Dayan, allora giovane ufficiale,
a
luglio (la guerra era iniziata a maggio) fa cadere Lydda e Ramleh,
spingendo
decine di migliaia di palestinesi alla fuga; poi dilaga in vittorie
capillari, corpo a corpo, lungo tutta Israele. Si lotta in ogni città
e ogni
kibbutz: i bambini vengono sgomberati nella notte sulle spalle di
ragazzi
più grandi, ma le madri restano in prima fila a lottare contro
l'invasione
imminente. « Quando vidi all'ospedale di Misgav Ladak i feriti alzarsi
dal
letto e chiedere il fucile, in una gloriosa notte di luna e di
stelle, dissi
a me stessa: voglio vivere a tutti i costi» , racconta un’ infermiera
di
allora, Ziva. Yitzhak Rabin, ventenne, correva in motocicletta sulle
strade
sterrate per portare gli ordini, rincuorare i soldati, sparare
qualche colpo
di supporto, Ariel Sharon, ancora ragazzo, fu gravemente ferito al
ventre a
Latrun. Cinque contro uno, la guerra vinta fu un miracolo della
volontà di
sopravvivere almeno questa volta, dopo essere già andati « come pecore
al
macello» in Europa.
25 ottobre 1956. Nel segreto di una villa della periferia parigina
Ben
Gurion, il piccolo uomo di Plonsk con la criniera bianca, discute con
i
rappresentanti della Francia e della Gran Bretagna piani d’ azione e
forniture di armi. Gamal Nasser, il fiammeggiante presidente egiziano
che ha
deciso di rifondare il panarabismo in fiera contrapposizione agli
europei e
in odio a Israele, nazionalizza il canale di Suez, ne minaccia la
chiusura.
Nasser schiera le sue forze in posizione di attacco, così da essere
pronto
alla reazione occidentale e anche israeliana. Qui entra in scena
Moshè
Dayan: l'archeologo con la benda sull'occhio è pronto con un piano
micidiale. Racconta Shimon Peres che Dayan segnava con una matita
rossa e
una blu, per ore e ore, le sue cartine, disegnava ogni possibile
variante. A
un certo punto il disegno fu pronto.
Israele vuole entrare nel grande gioco, dice alla Francia. Adesso le
armi ci
sono, l'Europa ha interesse ad aiutare Israele. E' l'America, oltre
alla
Russia, a frenare. Ma ormai la radio dà la parola d'ordine prevista,
quella
che l'esercito conosce in segreto e che viene cambiata ogni
settimana. Tutti
partono nottetempo verso le loro unità , in silenzio. I giornali
scrivono
« guerra» solo quando la guerra è già cominciata. Parte l'operazione
Kadesh.
Nasser ha affondato molte imbarcazioni nel canale per renderlo
impraticabile. Dayan prende subito il Sinai (che verrà poi restituito
per
intero in cambio della pace con l'Egitto) fino ad Al Arish e poi a
Sharm el
Sheikh: 45 mila egiziani si arrendono, 6 mila vengono fatti
prigionieri,
l'Onu chiede a gran voce la tregua, ma Israele non si ferma fino a
che non
raggiunge il fondo del Sinai il 5 novembre. Porta a casa l'arsenale
bellico
egiziano e ottiene la libertà di passaggio per lo stretto di Tiran e
il
porto di Eilat. I caduti israliani sono solo 180. Dayan ha scoperto
il
segreto: la rapidità , l'inventiva, l'audacia, le armi dell'esercito
israeliano.
Dal gennaio ‘ 65 al giugno ‘ 67, quando inizia la Guerra dei Sei
Giorni,
Israele subisce 120 attacchi terroristici dall'Olp di Arafat. La
Siria e
l'Egitto a gran voce dichiarano che sosterranno i palestinesi con una
guerra. Israele comincia a prepararsi, mentre una bugia sovietica
(« Israele
ha già spostato i carri armati sul confine» ) spinge Nasser a pensare
che sia
l'ora della vendetta. La famosa canzone di Umm Lhaltoum, una
bravissima
cantante egiziana, incita da tutte le radio: « Sgozza sgozza» . Nasser
sembra
sicuro di farcela. La Russia induce anche la Siria a entrare in stato
di
preallarme generale, l'Onu sgombera la zona d'interposizione per
attaccare
Israele attraverso il Sinai. Torna Moshè Dayan e compie ancora una
volta il
miracolo: da Paese piccolo e sempre minacciato, Israele in questa
guerra
diventa una temuta potenza militare, questa volta la sua vittoria,
con la
conquista del Golan e dei Territori, causa uno spostamento culturale,
dà una
sicurezza senza precedenti. Ma come per nemesi o paradosso, di lì a
poco,
comincia il fenomeno degli insediamenti, del nazionalismo religioso:
la
grande gioia del giorno dopo diventerà l'ansia degli anni a venire,
sarà la
radice di un'identità palestinese agguerrita, pronta come non mai
allo
scontro, e della frammentazione del panorama politico interno.
Iraq, Giordania, Siria ed Egitto sono già pronte. Chiusi gli stretti
di
nuovo, Israele è isolata da ogni parte. De Gaulle abbandona il campo,
per la
prima volta l'Europa lascia gli ebrei soli, la Francia dichiara
l'embargo.
Stupefatto è soprattutto Shimon Peres, grande estimatore della
cultura
europea. E' lui, il giovane sognatore che già parla di pace, che Ben
Gurion
incarica di organizzare la marina militare e di progettare la bomba
atomica.
Di nuovo Israele si sente a rischio: Dayan e Weitzman (che sono
cognati)
capiscono che la sopravvivenza d'Israele dipende dalla velocità . I
Mirage
israeliani danno il via a incredibili incursioni sugli aereoporti
militari
iracheni, giordani, siriani e egiziani: in un giorno, il 5 maggio
1967,
distruggono 367 aerei. Intanto Re Hussein di Giordania bombarda
Israele
dalle alture, Gerusalemme è di nuovo sotto tiro. Il piccolo re sogna
di
nuovo di prendere la città intera, come nel ‘ 48. Invece avviene il
contrario: Israele occupa la Cisgiordania con mossa fatale;
soprattutto,
entra dentro Gerusalemme.
Guidati da Rabin, Dayan e da Uzi Narkiss, i soldati in lacrime
toccano il
Muro del Pianto. Prima di entrare, Dayan, laico e disincantato come
sempre,
guardando da lontano le mura mormora a Narkiss: « Che ci facciamo poi
con
tutto questo Vaticano?» Il rabbino militare Goren suggerisce che
forse è il
caso di far saltare per aria la spianata delle Moschee: « Così avremo
risolto
un problema» . E Dayan: « Taci, che non ti senta mai più dire niente
del
genere» . Intanto la Giordania, che perderà del tutto il controllo di
Gerusalemme, porta sul confine israeliano anche le truppe irachene:
547 mila
uomini schierati, insieme agli egiziani.
Il primo ministro Levi Eshkol sviene parlando alla radio. Dayan
diventa
ministro della Difesa. Rabin, capo di Stato maggiore, sente la
terribile,
immensa responsabilità di quello che sta accadendo: i soldati
israeliani
muoiono, gli eserciti nemici si rafforzano, i territori occupati
fiatano sul
collo di Israele un nuovo imponderabile destino. E il grande
generale, che
controllava insieme tutti i fronti, forse anche per la catena di
sigarette
che fumava senza mai smettere, crolla: si chiude in una stanza buia
con un
sonnifero, nessuno riesce più a trovarlo per 24 ore. La guerra del
‘ 67
finisce con una vittoria travolgente. Ma il popolo palestinese trova
in
Cisgiordania una dimensione in cui identificarsi e organizzarsi.
Alle 13,40 del 6 ottobre 1973, nel giorno di Kippur, mentre tutta
Israele
digiuna al tempio, le sirene annunciano suonando per 45 minuti che il
Paese
è stato attaccato da Siria ed Egitto. Golda Meir, il primo ministro,
benchè
travestita da araba fosse andata a un incontro segreto con re Hussein
che la
voleva informare dell'attacco imminente, non ci aveva creduto: non si
era
mai fidata di lui. E' lei che ha coniato il motto: « La pace sarà
possibile
quando gli arabi ameranno i loro bambini più di quanto non odino gli
ebrei» .
Per alcune ore, nel caos più totale, le riserve non vengono
mobilitate, il
fronte siriano e quello egiziano si spostano in avanti senza
remissione, sui
confini muoiono i soldati di leva bruciati da siriani ed egiziani
dentro i
loro carri armati. Abba Eban parla di « una nuova Pearl Harbour» .
Fu una guerra che uccise 2701 soldati, ne ferì 7500, fece 300
prigionieri di
guerra trattati come sanno trattare i siriani, 100 arerei e 800 carri
armati
furono distrutti. Moshè Dayan disse: « Abbiamo dovuto fare la guerra
contro
il materiale sovietico più che contro gli arabi» . Gli Usa per la
prima volta
vengono in massiccio aiuto ad Israele. Quando arrivano dopo otto
giorni
all'aereoporto i Galaxy con i rifornimenti, gli israeliani
letteralmente
rovesciano gli aerei, con un sistema inventato lì per lì , per fare in
fretta. Di nuovo tutti si mobilitano: coperte, transistor, giornali,
cibo,
anche i vecchi corrono a portarli al fronte. Intanto l'Egitto soffre
di
pressioni internazionali e di cattivo equipaggiamento dei soldati,
nel
deserto senza borraccia. Burt Lancaster e Ingrid Thulin, oltre a
musicisti
come Barenboim e Stern, accorrono a sollevare il morale. Insomma, c'è
un
colpo di reni.
Shimon Peres mobilita la Marina contro le coste siriane: ma il
rovesciamento
della situazione avviene quando Ariel Sharon, allora generale,
nottetempo
sbarca di là dal Canale e accerchia, con una manovra ancora oggi
ritenuta
incredibile, le forze egiziane di terra. E' già famoso per la sua
indisciplina, per la sua durezza. Ha compiuto rappresaglie dure
contro i
villaggi arabi. Ma salva Israele sul fronte egiziano. Ferito alla
testa
soccorre e rincuora uno a uno i soldati. L'Egitto è preso di sorpresa
e in
breve, anche a Nord, il Golan è occupato. Alla fine della guerra 8301
prigionieri egiziani vengono scambiati con 241 israeliani. Ma la fede
di
Israele, presa di sorpresa, è ormai scossa.
Begin lancia la campagna dell'82 quando ormai l'Olp è un esercito che
attacca ogni giorno dal Libano i kibbutz, le scuole, le cittadine
della
Galilea: i palestinesi, denunciava il rappresentante libanese
all'Onu, hanno
trasformato i campi profughi in bastioni militari, hanno
contrabbandato armi
pesanti, imposto tangenti. L'Operazione Pace in Galilea doveva solo
occupare
una fascia di sicurezza in Libano. Invece si allarga fino a
diventare, agli
ordini di Sharon, allora ministro della Difesa, un piano di
eliminazione
definitiva dell'Olp. E' un grave peccato d'orgoglio. La guerra sarà
un
pantano in cui fioriscono gli Hezbollah fino a oggi, e farà nei
vent’ anni di
occupazione centinaia di morti.
La guerra durò 80 giorni, il mite primo ministro Yitzhak Navon fece
di tutto
perché l'esercito non colpisse i civili. La strage di Sabra e
Chatila,
ovvero l'incursione omicida delle milizie cristiano-libanesi in un
campo
palestinese, e la successiva accusa a Sharon di esserne responsabile,
segnarono questa guerra con un marchio su Israele. Fu l'inizio di una
grande
campagna di delegittimazione che oggi è al suo picco. Ma l'Olp, e
questo è
di vitale importanza per Israele che trovò incredibili quantità
d'armi
nascoste nelle sue casematte, venne cacciata. Arafat fu risparmiato.
Le navi
che al canto dell'inno palestinese, fra fiori e segni di vittoria,
portarono
Arafat e i suoi fedayn in salvo sono parte saliente dell'epica del
Raí ss. Da
lì nacque un'ondata di attentati terroristi, l'esilio di Tunisi e poi
la
resurrezione in Cisgiordania dopo l'accordo di Oslo. Oggi, chiuso a
Ramallah, più volte Arafat cita Beirut per ricordare la sua capacità
di
risorgere.
La penultima guerra di Israele, quella in cui Saddam, nel ‘ 91, inondò
Tel
Aviv di missili, non fu combattuta: ma proprio per questo si trattò
del più
difficile dei combattimenti per Israele, che aveva dieci anni prima
distrutto il reattore nucleare iracheno. Qui iniziò il divieto
americano a
Israele di reagire, che dura tutt'oggi: Yitzhak Shamir si prese
allora la
testa fra le mani e chiese proprio a Colin Powell perché mai Israele
non
dovesse rispondere. La risposta sembrò venire subito, a Madrid, alla
conferenza di pace. E più avanti a Oslo, a Washington, a Camp David.
Sembrò
che il destino di guerra fosse concluso. Invece l'ultima grande
guerra
contro il terrorismo suicida la leggiamo, sui giornali, ogni giorno.
giovedì 31 gennaio 2008 13:48:15
Articolo molto bello.A me, che volevo approfondire il tema e colmare parte della mia ignoranza, è stato molto utile.Complimenti vivissimi.Andrea Mazzeo