Cresce la voglia di imitare chi vince con la forza La tentazione p alestinese
mercoledì 24 maggio 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GIÀ una mese fa alcune televisioni arabe mandarono in onda delle
immagini
dal campo dei rifugiati palestinesi in Libano Ein el Hilweh che li
mostrava
mentre si allenavano con armi nuove di zecca. Il loro comandante
Mhunir
Maqdah dichiarò che, da quando gli israeliani avevano promesso di
ritirarsi
dal Libano, dozzine di volontari da tutti i campi di profughi gli si
erano
avvicinati manifestandogli il loro desiderio di combattere contro
Israele.
Questo avveniva ieri. Oggi le voci di battaglia palestinesi giungono
anche
dall’ interno della West Bank: « Avremmo dovuto fare come loro» , un
palestinese di Ramallah come ce ne sono tanti risponde al cronista,
« anzi,
dovremmo fare come loro e siamo finalmente sulla buona strada. Che
senso
hanno tutte queste trattative, se poi li cacci via solo con la
forza?» .
« Loro» sono gli hezbollah, che agli occhi del mondo arabo, e ormai in
parte
anche a quelli del mondo israeliano, stanno cacciando via l’ occupante
israeliano con i fucil. I palestinesi, e insieme a loro i siriani,
non la
vedono affatto come un « motu proprio» di Ehud Barak, ma come una sua
cocente
sconfitta. E l’ eccitazione sale. I moti palestinesi, le marce di
questi
giorni, si ispirano alla irriducibilità degli hezbollah, sono loro i
nuovi
Saddam Hussein che seppe far fuggire gli ebrei dalle loro case nei
rifugi
con le maschere antigas per la paura dei missili. Sono gli hezbollah
che
hanno trasformato, pensa la piazza palestinese, la ritirata
dell’ esercito,
un gesto israeliano di pace e di distensione, in una fuga che è anche
un
segnale, dopo tante guerre perdute e dopo tante difficili trattative,
che
gli ebrei possano anche scappare. I circoli più vicini ad Arafat, ed
Arafat
stesso si dice, sono molto preoccupati per gli umori della piazza
palestinese.
« Un giorno di umiliazione» , scrive in prima pagina Yediot Aharonot,
giornale
popolare di Israele: Arafat può aver dato molti dispiaceri agli
ebrei, ma
mai un giorno di umiliazione, pensano i palestinesi. E invece gli
hezbollah,
sì ! Mentre Arafat tratta faticosamente la liberazione dei suoi
prigionieri
politici ormai da anni, gli hezbollah in un attimo, con un gesto
plateale,
hanno spalancato le porte di El Khiam, la prigione che l’ esercito del
Sud
del Libano, l’ Els, ha consegnato loro insieme alle armi, alle case,
alle
stesse loro povere anime abbandonate. Il solito Tishreen, il
quotidiano
siriano governativo, ha scritto: « Un disastro totale per Israele» . E
Hassan
Nasrallah, l’ imam capo degli hezbollah, seguita a promettere
ulteriori,
implacabili battaglie. Dunque, corrucciati all’ ombra dell’ ispirazione
della
battaglia degli islamici libanesi, i palestinesi sferrano i loro
attacchi
armati di questi giorni, che sfuggono di mano ad Arafat. Un generale
della
Marina israeliana, Yedidya Ya’ ari dice: « E’ come il nostro orologio
da
sommozzatori, che ha tre lancette che solo apparentemente si muovono
in
maniera indipendente: di fatto tra loro c’ è un sostanziale consenso,
una
conseguenzialità » . Le tre lancette sono gli hezbollah, i palestinesi
e la
Siria: Israele da tutti i segnali che si avvertono teme che sutti i
fronti,
anche se colloqui con i palestinesi sono ripresi, si pensi perlomeno
in
certi settori che è il momento buono per dare uno schiaffo al vecchio
nemico. Arafat preferisce a tutt’ oggi il fronte delle trattative
rafforzato
da moti di piazza, ma ormai i moti di piazza hanno un andamento
autonomo:
Marqan Barguti, capo del Tanzim, organizzazione della base del Fatah,
minaccia parallelamente alla flessibilità al tavolo delle trattative
anche
« duri attacchi militari sul terreno» . E i Tanzim sono stati armati da
Arafat
stesso, che ha distribuito armi a 40.000 uomini invece che ai 18.000
poliziotti stabiliti dall’ accordo di Oslo. E, dal giorno della
« Rabbia» il
19 di questo mese, molti di questi fucili hanno sparato senza ordini
dei
Raí s. A questo bisogna aggiungere che in Libano vivono 350.000
profughi
palestinesi, una bomba a tempo tuttora governata da organizzazioni
come la
Jihad Islamica, una fazione di Hamas e un’ altra decina di gruppi
fondamentalisti.