« CORPO A CORPO» FRA IL PREMIER E LA DESTRA CHE TENTA DI PROVOCARE UNA SOLLEVAZIONE GENERALE I coloni in marcia su Gaza: « Sharon è un dittatore» Rabbia contro il programma di sgombero delle colonie dall a Striscia
martedì 19 luglio 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
inviata a NETIVOT
In un polveroso angolo di mondo nel desertico Negev, a breve distanza dalla
Striscia di Gaza e la sua entrata da Kissufim, ovvero a Netivot paesino
meridionale bigotto, è cominciato ieri un corpo a corpo mortale fra Ariel
Sharon e la destra che vuole a tutti i costi evitare lo sgombero con una
generale levata di scudi. Da Netivot, un raduno di massa sta generando una
marcia che secondo i programmi deve durare tre giorni fino al tentativo,
fuori legge, di entrare dentro la Striscia a dar man forte ai setter che
stanno per essere sgomberati: e di scontro anche fisico in realtà si tratta
pur se gli organizzatori come Pinhas Wallenstein spiegano piamente alla
radio e alla tv che non hanno nessuna intenzione violenta, anzi, che è lo
Stato violento e Sharon un dittatore. Questo scontro non sulle ragioni
concrete, ma sulla legittimità e sulla prepotenza, è carico di disprezzo
religioso, oltre che di interessanti, e questo rende il clima molto infetto.
Mentre scriviamo, abbiamo appena lasciato la marcia dei settler, e solo il
cielo sa dove arriverà .
Ma cominciamo dal mattino, quando la strada da Gerusalemme è abbastanza
libera: gruppi di auto con i nastri arancione, il colore simbolo dei coloni,
carichi di famiglie con bambini, quasi tutti religiosi viaggiano verso
Netivot. Ecco anche anche marciatori solitari o ragazzi in gruppo, con
bandiere, stendardi, slogan, le ragazze con le gonne lunghe, i giovani con
la kippà in testa. « Un ebreo non esilia un altro ebreo» , dicono i cartelli,
e usano il verbo che ha alle radici « gerush» l'esilio per eccellenza, quello
del 1492, la cacciata della regina Isabella. L'atmosfera abbastanza quieta
si spezza come colpita da un fulmine: i 630 autobus diretti a Gerusalemme
viene a sapere la folla, sono stati bloccati a quattro angoli di Israele,
fino al Nord estremo di Kiriat Shmona. Non qui vicino, perché non arrivino a
Gaza, ma lontanissimo, dove non dovrebbe mai accadere che si blocchi la
libertà di movimento. La gente urlante di sdegno è stata fatta scendere da
almeno 330 fra i bus destinati a rovesciare un carico di marciatori alla
manifestazione. A Gerusalemme è stata bloccata l'autostrada per protesta, ma
brevemente. Stavolta la polizia ha avuto ordini precisi, che si riassumono
così : la manifestazione è contro la legge perché si avventura verso una zona
militare chiusa ai cittadini, dunque, anche il suo primo inizio è illegale.
A Netivot la manifestazione che si svolge in un luogo che le dà un colore
forse non del tutto gradito da ciascuno dei presenti, ovvero vicino alla
tomba del santo Baba Sali, un defunto grande sapiente, padre della comunità
marocchina con fama miracolosa, alla notizia degli autobus bloccati si
sparge una terribile rabbia, mentre si affollano sul palco soprattutto altri
uomini di religione: « Siamo alla dittatura completa, la polizia è fuori
legge, Sharon viola ogni senso elementare di democrazia...Come, non ci siamo
ancora mossi, e già ci buttano giù dagli autobus, e in malo modo!» mi dice
Miriam una signora molto arrabbiata proveniente da Ofra. « Guardi invece
com’ è composta questa manifestazione che prega anziché urlare slogan» .
« Pensavo soltanto di venire stasera e tornarmene a casa con mio marito e i
miei quattro bambini che ora non so dove mettere» dice con volto calmo, ma
furente, Haia, che viene dalla cittadina di Beit Shemesh e non dal West Bank
come quasi tutti. E aggiunge: « Volevo solo testimoniare il mio disaccordo da
adulta non violenta, non ci sono fra di noi solo i giovani teppisti che
dominano la scena. Guai a toccare i soldati, o a chiedere loro di disertare.
Adesso che gli autobus carichi di famiglie normali non possono venire, gli
estremisti che arriveranno comunque rischiano di prendere il sopravvento, e
quindi noi restiamo» .
Ma è difficile che Haia e quelli come lei riescano a bloccare la marea di
rabbia contro il governo: a notte i telefonini che funzionavano da tam tam
chiedevano ancora a tutti di arrivare comunque, mentre partiva la prima
parte della marcia di avvicinamento che continua oggi e domani verso la
Kissufim. Da cinquemila i dimostranti sono diventati lentamente circa
trentamila: chi arrivava da solo vestito da marciatore, chi con la
carrozzina e il neonato, molti al seguito di qualche rabbino.
Gli uomini della Moetzet Yesha, l'organizzazione dei comuni della
Cisgiordania, seguitavano a chiedere al pubblico di marciare solo sui
marciapiedi e di non alzare le mani. Ma al check point di Kissufim nel
frattempo i soldati si scontravano con un gruppo di settler che li
spintonavano e chiedevano loro di non ubbidire agli ordini mentre intanto
cadevano quattro missili kassam. I cittadini di Israele, per la grande
maggioranza (ieri sera un sondaggio diceva che il 62 per cento pensa che « i
coloni abbiano passato ogni limite» ) di fatto non sopportano la violenza che
cresce, la religione usata come bandiera politica in un Paese in cui i
religiosi sono meno del 20 per cento, e soprattutto l'attacco ai soldati, i
figli di tutto il popolo di Israele, impegnati mentre si è riacceso lo
scontro, su un inutile fronte interno.