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Controesodo per 500 mila, molti trovano la casa distrutta Libano, l'u ltimo dramma Gli sfollati tornano tra le macerie

domenica 28 aprile 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO La tregua dunque tiene, le katiusce e l'artiglieria israeliana tacciono; tornano a casa i profughi e gli sfollati. Con i fari accesi nella notte, le vecchie Mercedes rosse stracariche di nonni, bambini, di donne con i veli avvolti attorno alla testa e alla gola, il popolo libanese, appena il fuoco è entrato in vigore, ha intrapreso un autentico, immenso esodo verso i propri villaggi e le proprie case. Tutti insieme, in un'ondata biblica, mezzo milione di abitanti dei villaggi sbaragliati e dispersi dall'artiglieria israeliana in sedici giorni di guerra hanno intrapreso la loro marcia verso il Sud. Dicevano l'uno all'altro: corriamo presto al Sud, per vedere se la nostra casa è ancora in piedi, per ritrovare ed abbracciare il vecchio padre che si è rifiutato di seguire la famiglia nella fuga verso Beirut. A casa, per ritrovare i vecchi tormenti, facendo finta di non vedere i nidi degli hezbollah presenti per ogni dove, ignorando l'odio e la paura di Israele, pensando solo al domani; a casa, come per un istinto primario di sopravvivenza, scansando il pensiero che questa tregua ha tanti e , e finché la situazione è così instabile tutto può ricominciare da un momento all'altro. Le famiglie sono uscite dai rifugi provvisori che avevano utilizzato a Beirut e nei dintorni durante la fuga al Nord e hanno caricato tutto sulle loro vecchie macchine: su certi approssimativi camioncini che in genere servono al lavoro agricolo, sulle incongrue grandi macchine tedesche da emigrati tornati da poco. Il paraurti appiccicato al paraurti della vettura davanti e di quella dietro, fra urli, strombazzamenti mediorientali, con le radio a tutto volume che cantavano canzonette d'amore o cantilenavano le preghiere dello haj, la grande misteriosa festa musulmana che in queste ore ha portato 2 milioni di persone alla Mecca, ognuna delle automobili viaggiava sotto un tragicomico traballante altissimo tetto di materassi sovrapposti e di coperte. E la strada giù , lungo la via costiera, e poi dentro le montagne verso casa, non era più la stessa strada fatta all'andata, ha scoperto la folla con orrore. Qui il selciato è divelto, qui un cratere impedisce a qualsiasi veicolo di passare. Allora bisogna scendere tutti, alleggerire l'automobile, farla percorrere piano il percorso sconosciuto, sabbioso, sassoso, acquitrinoso che sia. E prendere i bambini in braccio attraverso i nuovi avvallamenti, i nuovi piccoli laghi o i deserti che si sono formati, fino all'ultimo momento del gioco d'azzardo che devi andare a vedere per forza. La casa c'è ancora? Non c'è più ? Ne è rimasta soltanto una parte? Gli oggetti sono distrutti? Dispersi? Rubati? E nei villaggi, quando si arriva, la rabbia, la gioia, il dolore, il sollievo, la disperazione formano un incongruo unico coro. Un vecchio con la kefiah corre incontro alla sua famiglia che entra nel villaggio per annunciare la buona novella: la casa è ancora in piedi, si può ricominciare a vivere. Poco lontano, invece, un uomo mostra alle telecamere, ritto davanti a un cumulo di macerie, la foto della sua casa, una villetta a due piani: per una piccola parte di quanto odio Israele. giovane uomo guardando un cratere enorme causato da una bomba - quanto tutto questo somiglia al ritorno da Beirut nel 1993. Col cessate il fuoco tornammo a casa sperando che gli israeliani non ci avrebbero mai più bombardato e che gli hezbollah non li avrebbero mai più provocati. E invece.... arrivi finalmente anche da noi dice un maestro di scuola, contento di avere appena ritrovato i suoi allievi in un villaggio vicino a Tiro. Fiamma Nirenstein

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