Considerazioni sull'Iraq e il governo Al-Maliki
Nel mio ultimo intervento per la rubrica settimanale "Mediorientale" su Radio Radicale, abbiamo parlato anche di Iraq, in merito alla battaglia di Pannella per scongiurare l’eventuale esecuzione di Tareq Aziz, ma soprattutto ai nessi logici che sottostanno a questa campagna.
Vi invito ad ascoltare la trasmissione (cliccando sull'icona qui sotto) ma vi segnalo anche il passaggio rilevante, in seguito al quale Giorgio Ragazzini (Firenze) mi ha inviato un suo intervento su"Notizie Radicali" che allego più sotto.
“[…] In merito al governo Al-Maliki, benché il personaggio sia di marca shiita, e anzi, all'inizio del suo mandato abbia dato segno di tenerci parecchio, le cose sono molto cambiate nel tempo, tant’è vero che ora i sunniti studiano una soluzione di governo comune, lavorano ad una costituzione in comune e, come si può leggere in parecchie relazioni, sono i sunniti stessi ad aver decretato quella che è la più eclatante sconfitta di Al-Qaeda - che peraltro si svolge in parecchie parti del mondo, ma in Iraq particolarmente - perché si sono resi conto di avere un sostengo, come popolazione sunnita, contro Al-Qaeda, la quale in maniera aggressiva e forsennata perseguitava parimenti sia gli uni, i sciiti, che gli altri, i sunniti. I sunniti si sono di fatto resi conto che il loro amico era il governo. Quelli che erano scappati sono ritornati, il clima non è affatto di persecuzione nei confronti dei sunniti da parte del governo. In più c'è un altro elemento importante: nella legittima campagna contro la pena di morte a Tareq Aziz, non si deve attribuire il processo di Tareq Aziz ad una persecuzione sciita nei confronti dei sunniti, perché questo non è veramente realistico. Nemmeno un mese fa, Al-Maliki si è recato in visita aTeheran, dove tenne incontri tutt'altro che amichevoli, in cui disse che bisognava smetterla di mandare questi guerriglieri iraniani ad aiutare il terrorismo all'intero dell'Iraq, che il popolo iracheno, anche nella sua componente sciita, non era assolutamente disposto ad accettare quest’azione. Il discorso fu molto articolato e suscitò qualcosa di più di un semplice stupore, tant'è vero che l'ambasciatore iracheno in Iran ricevette poco dopo un bel pacchetto con una bomba. Quindi, l'ipotesi della persecuzione politica è sbagliata. Io penso che si può sempre e comunque combattere contro la pena di morte, ma diffondere l'idea che lì tutto quanto è il risultato di una guerra sbagliata che tende a sostituire un potere con un altro, non corrisponde alla realtà dei fatti. L'elemento che riguarda l'atteggiamento americano, la ripetizione delle eventuali menzogne sono fatti di cui si è ampiamente discusso: proprio l’altro giorno l’Herald Tribune pubblicava un articolo che descriveva come fossero state ritrovate centinaia di tonnellate di uranio arricchito, Yellocake, smantellato dal programma nucleare di Saddam Hussein. Poi anche la teoria di camion che passarono il confine siriano è plausibile. In conclusione, lo sciismo iraniano è molto particolare, ma quello iracheno è molto diverso ed è sempre stato così. Io mi guarderei dall'attribuire i problemi relativi al processo di Tareq Aziz, che sono di ordine morale, che attengono al tema della pena di morte, a una malcondotta del governo iracheno riferita a delle sue spurie alleanze con l'Iran, che io nego".
Intervento di Giorgio Ragazzini:
"È giusto ricordare la proposta di esiliare Saddam come possibile alternativa alla guerra in Iraq, con quanto di distruzione e di morte ha comportato. Un’alternativa che non tutti quelli che potevano hanno sostenuto, a cominciare da chi poteva più di tutti, e cioè George W. Bush. Ed è anche giusto fare il possibile per chiarire i motivi di questa mancata scelta, che magari saranno anche inconfessabili. Sostenere però, come di recente ha fatto Marco Pannella, che questo avrebbe aperto senz’altro la strada a una pacifica transizione verso la democrazia mi pare un po’ azzardato. Già sull’instaurazione di un’amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite, in mezzo al ribollire di fazioni nel vuoto di potere, è legittimo un certo scetticismo. Ma soprattutto non si capisce che cosa, di fronte alla prospettiva di un paese democratizzato, avrebbe spinto la Siria e l’Iran ad astenersi dal finanziare e armare la guerriglia, Moqtada al-Sadr ad accordarsi immediatamente con i sunniti e AlQaeda a tenersi fuori dall’Iraq liberato.
Insomma, tutti i nodi che la coercizione e il terrore su cui si basava il regime saddamita tenevano in qualche modo a bada sarebbero con ogni probabilità venuti al pettine ugualmente.
Resta il rammarico per un’alternativa non esplorata fino in fondo. Ma non mi pare che esagerarne irrealisticamente la portata giovi al doveroso, seppur tardivo, apprezzamento di quell’intuizione".
Come sempre il suo commento è puntuale e lo condivido appieno. A dimostrazione della poca affidabilità di Bashir Hassad è stato l'abbandono della conferenza quando ha preso la parola Olmert. Come si può colloquiare senza una controparte? Come lei giustamente conclude non si deve cadere nell'imbroglio. Ogni attesa in riferimento a trattativa non realistica facilita soltanto il rafforzamento delle posizioni arabe che guadagnano consenso nell'opinione pubblica mondiale e ne approfittano per riorganizzarsi, sempre con il fine della distruzione di Israele