Con un libro e un'intervista la vedova del premier attacca la classe dirigente israeliana Leah Rabin, il lutto e la lotta
venerdì 4 aprile 1997 La Stampa 0 commenti
YITZHAK mio, così amato, così lontano... Leah Rabin, a diciassette
mesi dall'assassinio di suo marito, il Primo Ministro dello Stato
d'Israele, esce con un libro di memorie scritto come un'appassionata
lettera d'amore e di politica. Il volume è intitolato Una vita
insieme ed è edito da Mondadori. Rabin our life, his le gacy è più
cerimoniosamente il titolo in inglese. Elegante, gli occhi bellissimi
di bagliori verde-azzurri e sempre un po' segnati come dal pianto
dopo quella spaventosa sera del 4 novembre 1995, Leah in genere
lavora al quindicesimo piano di un edificio moderno nel quartiere di
Ramat Gan. Il suo mestiere è il ruolo impietoso che il destino le
aveva preparato a sua insaputa, quello della vedova in bilico fra il
dolore e la lotta politica, il lutto indicibile dopo un matrimonio
meraviglioso che durava dal 1948, e la figura pubblica che invece non
ha nascondigli né spazi per il non detto. Così sembra essere anche
il libro di Leah, dove brevi spunti lirici vengono subito travolti
dall'urgenza di attribuire a ciascuno le sue responsabilità , le sue
colpe: colpe alla destra (e quindi anche a Netanyahu) per la
costruzione del clima che condusse all'omicidio; a Peres per la
responsabilità di una campagna elettorale dopo la morte di Yitzhak
disordinata e piena di conflitti e da cui la sconfitta fuoriuscì
inevitabile non per un destino di incomprensione del messaggio del
marito da parte del popolo. Perché , anzi, Leah non perde mai la fede
che il messaggio della pace debba vincere come una forza
inarrestabile e priva di ombre. Nel libro si trova anche l'idea da
tempo adombrata negli ambienti vicini alla vedova del Primo Ministro,
che Leah possa, anzi debba avere un ruolo politico di primo piano nel
futuro di Israele. Per la precisione ella stessa scrive:
Yitzhak, che molte persone mi hanno incitato a puntare alla carica di
prossimo Presidente dello Stato.... E proseguendo nel dialogo
diretto che caratterizza tutto il volume, Leah precisa la sua
posizione:
su un piatto d'argento, non otterrò quella carica. Però , però ...
Contestualmente all'uscita del suo libro anche in inglese, la signora
Rabin ha voluto affondare ancora di più la spada della politica
accettando di chiedersi per il settimanale Jerusalem Report di chi è
la colpa del deteriorarsi della situazione politica attuale, del
processo di pace, e soprattutto che cosa sarebbe accaduto se Rabin
fosse rimasto in vita. Le risposte forniscono un completamento del
messaggio del volume edito da Mondadori. Innanzitutto Leah esprime
una genuina simpatia per Yasser Arafat, proprio nei giorni in cui sul
leader palestinese pesa il sospetto di aver dato ai
recenti attentati terroristici. Leah lo ritiene invece
desideroso di pace e lo ritiene sostanzialmente provocato
dall'attuale primo ministro Netanyahu con una serie di azioni
sbagliate e prepotenti. Leah non lascia spazio alla fantasia del
lettore nel dire che se Rabin fosse stato vivo
provocato la situazione attuale... Certo che no. Non avrebbe aperto
il tunnel, non avrebbe cominciato la costruzione ad Har Homà , anche
se era convinto che Gerusalemme non dovesse mai essere divisa. In
conclusione Leah dichiara piuttosto sbrigativamente di essere contro
un governo di coalizione, e che non vede come Peres possa pensare che
questo salverà il Paese; dice anche che le elezioni non furono perse
a suo tempo a causa del terrorismo arabo, ma in sostanza per
l'incapacità della leadership di allora. Leggi: Shimon Peres. E dice
pure che è meglio che l'ex capo di Stato Maggiore Ehud Barak diventi
subito il nuovo primo ministro. In definitiva come non leggere sia il
libro che la contestuale intervista di Leah come un manifesto,
oltreché come un appassionato grido di dolore? Impossibile. Il lutto
si addice alla signora Rabin solo se portato nell'arena della lotta.
Fiamma Nirenstein
