Con raid e sanzioni l'America è pronta a combattere la sfida mondiale al terrore La guerra contro il nemico invisibile
martedì 23 luglio 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV LA guerra al terrorismo è innanzitutto una guerra di
carattere etico. Essa è fatta di spirito prima ancora che di
strategie e di armi. È possibile sconfiggere il terrorismo? No, non
nel tempo breve; non come un Paese può sconfiggerne un altro in
guerra riducendone a zero la capacità di ripresa, sia pure
momentaneamente. Ma è possibile combattere il terrorismo? Sì , è
possibile, ed è persino non difficile infliggergli seri colpi.
Perché i capi sono noti, gli uffici hanno indirizzi; perché i
focolai d'infezione, fra cui il primo l'Iran, sono molto evidenti,
sono entità statuali dalle economie fragili e dipendenti, facili da
colpire con sanzioni economiche e di embargo, e in generale con
l'arma dell'isolamento che (come per esempio si è visto col Sud
Africa) può funzionare assai bene. Un Paese isolato e colpito da
sanzioni economiche serie e rispettate da tutti, come quella proposta
pochi giorni or sono dal Congresso americano (ovvero penalizzare
qualsiasi compagnia investa più di quaranta milioni di dollari in
Iran o in Libia), in breve tempo non disporrebbe di cento milioni di
dollari annui, come gli ayatollah, da investire in attacchi
terroristici di matrice islamica. Ma Bonn ha già intrapreso la sua
battaglia per e l'Europa le è quasi tutta
dietro. Senza contare l'atteggiamento suicida dei Paesi del Vecchio
Continente che vendono alta tecnologia atomica e bellica a Stati che
sostengono il Terrore. Non è impossibile combattere il terrorismo;
esso non è una fantasia, né una proiezione delle nostre ombre.
Basta utilizzare in maniera ferrea le proprie leggi; per esempio, non
darsi pace finché non si ottenga l'estradizione di Abu Abbas;
prepararsi a un comportamento rigido e privo d'ombre ogni qualvolta
il caso lo richieda, tutto il contrario, per capirci, di quanto
abbiamo fatto a Sigonella. Si combatte il terrorismo considerandolo,
finalmente, dopo tanti anni di stupore semimetafisico (colpevolizzati
dall'idea di non piacere quasi all'intera civiltà musulmana;
incapsulati dalla cultura cattolica della colpa e del disprezzo
sostanziale dell'Occidente), un nemico capace di uccidere per
soddisfare un desiderio di vendetta antico come le Crociate,
rinnovatosi nel tempo via via che la civiltà giudaico-cristiana
occupava uno spazio non previsto, non desiderato. Il terrorismo si
combatte oltre che con azioni economico- legali, con dei blitz
improvvisi, talora attaccando dove si può , cercando di eliminare la
testa del serpente; in questi casi possono soffrirne degli innocenti.
Oppure con delle azioni ex post, deterrenti a futura memoria. E anche
qui ci si assumono pesanti responsabilità verso possibili innocenti.
Inoltre, per evitare azioni di terrore, non c'è che cercare di
ottenere informazioni preventive per strade sinuose, talvolta
scabrose. Laddove già si sa che una bomba ticchetta, l'azione si fa
convulsa, spesso violenta, o comunque può avventarsi su agenti non
centrali del piano criminoso. Sì , è terribile combattere un nemico
che ha sofferto pene storiche e che non esita oggi a uccidere donne e
bambini. È un compito carico di responsabilità , che si può
prendere su di sé soltanto nella convinzione di fare bene, di essere
nel giusto, di combattere la propria guerra per motivi sacrosanti di
autodifesa, sì , ma anche forse e soprattutto perché è
indispensabile per il mondo intero, e quindi giusto. Forse è per
un'endogena mancanza di questa convinzione che il nostro
atteggiamento verso il terrorismo è perplesso e nebbioso a volte
come di fronte a un brutto sogno; può essere pietistico e analitico
come di fronte al gesto di un bambino; è per questo forse che il
nostro atteggiamento, quando Clinton compie azioni repressive o
promette che i crimini non resteranno impuniti, diventa ironico,
paternalista; si direbbe quasi soddisfatto che il gigante americano,
ubriaco di Coca Cola, di potere e di buone intenzioni si sbracci
invano. A volte troviamo ingenuo l'atteggiamento di Clinton; a volte
ce lo figuriamo aggressivo; a volte incolto, scarsamente consapevole.
Noi sì , noi europei, che conosciamo le colpe dell'Occidente, noi
comprendiamo le ragioni del Terzo Mondo; noi europei così magnanimi
da lasciare che giorno dopo giorno il terrore cambi, penetrandola, la
nostra vita quotidiana. E anche abbastanza cinici da difendere i
nostri commerci con l'Iran o con la Libia, qualunque cosa essi
facciano. Così in fondo, noi europei, poco grati alla storia che ci
ha donato sviluppo e democrazia da non essere in grado di farne una
bandiera comune, come è divenuto ormai indispensabile. Fiamma
Nirenstein