CON IL PRESIDENTE DELL’ ANP SEMPRE PIU’ ISOLATO SI APRE UN NUOVO DRA MMATICO CAPITOLO DELLA CRISI MEDIORIENTALE La prima « martire» dell’ Intifada s eppellisce le speranze di pace
lunedì 28 gennaio 2002 La Stampa 0 commenti
                
GERUSALEMME 
UNA donna giovane che si fa esplodere con un carico di dinamite tale 
da 
ferire cento persone e fare a pezzi negozi, attività , appuntamenti, 
oggetti, 
ultime speranze, è un presagio ancora più nero dei consueti 
terroristi 
suicidi. Una donna che per uccidere fa a pezzi il suo corpo destinato 
in 
potenza a dare la vita, è una bestemmia. Ed è accaduto nella stessa 
via 
Jaffa, nel segno della continuità dopo altri sette esplosioni 
suicide, nel 
segno dell’ odio religioso che fuoriesce dall’ università di Al Najach 
a 
Nablus (sempre che le prime notizie siano vere), riserva ideologica 
di 
Hamas. 
E’ la prima volta che una ragazza diventa un « shahid» , un martire 
secondo 
gli integralisti islamici. Già un’ altra donna aveva tentato di farsi 
saltare 
per aria alla stazione degli autobus di Tel Aviv, senza riuscirvi. 
Questa è 
la prima giovane che si eguaglia all’ uomo nella morte in una società 
di 
differenze, inaugurando una terribile forma di emancipazione. 
Del resto radio, tv, politici, giornali, moschee, esaltano 
continuamente di 
fronte al gran pubblico la magnifica grandiosità di questa scelta. 
A questo si unisce, da quindici mesi, una situazione di profonda 
miseria, di 
incursioni subite, di case distrutte, di mancanza di speranza e anche 
di 
ambigue indicazioni da parte del leader. Arafat, mentre da una parte 
chiede 
agli Usa di rimandare l’ inviato Zinni, cerca per vie diplomatiche di 
far 
recedere Bush dalla condanna e dalla « delusione» dichiarata nei suoi 
confronti e chiede a Berlusconi che l’ Europa lo guardi con favore, 
dall’ altra ripete sempre più spesso di voler essere lui stesso « uno 
shahid 
per Gerusalemme» . 
La folla l’ ha osannato, mentre la polizia israeliana si aspetta da 
questo 
incitamento nuovi attacchi suicidi. 
Per Israele è ormai chiaro che il sistema azione-reazione 
dell’ esercito non 
funziona, e la speranza evidente di Sharon è che Arafat, chiuso nel 
suo 
angolo a Ramallah, venga sostituito da una leadership che fermi il 
terrorismo. Perché una donna shahid che mostra l’ accanimento e 
l’ abilità nel 
tornare nelle stesse vie centrali di tutti gli altri attentati di 
questi 
giorni, è un durissimo segno di odio generalizzato: ed è accaduto, 
evidente 
sberleffo, proprio dove la polizia israeliana ce l’ aveva messa tutta, 
puntando là le sue forze migliori, finché oggi, all’ ottavo lago di 
sangue, è 
scoppiato il cuore del capo della polizia Miky Levy, ora 
all’ ospedale. 
Cosa accade, dunque, e quali scenari si possono configurare? C’ è una 
sottintesa ma ormai nota minaccia americana di mettere fuori legge 
Fatah 
Tanzim, ovvero le milizie di Arafat, e di congelare i rapporti e i 
fondi 
dell’ Autonomia palestinese: questo comporta concretamente la 
« delusione» di 
Bush. Arafat adesso può scegliere: dare un gran colpo di reni e con 
le sue 
residue forze combattere il terrorismo, anche se questo 
significherebbe 
inimicarsi l’ opinione pubblica, come fece nelle tre settimane in cui 
tenne 
fermi Tanzim, Hamas e Jihad; oppure, terribile novità , decidere che 
tanto 
vale, in una situazione di disperazione, tentare la strada del grande 
conflitto, così da resuscitare, tra le fiamme della guerra, 
l’ amicizia del 
mondo arabo e creare una situazione disperata che richiami l’ aiuto 
internazionale. 
Arafat sa che la vicenda della nave Karin-A e relativo coinvolgimeno 
dell’ Iran nel contrabbando di armi per i palestinesi ha fatto saltare 
i 
nervi a Bush non meno che agli egiziani e ai sauditi. Confinato com’ è 
a 
Ramallah, non possiede le consuete armi della diplomazia, ma sa bene 
di 
avere a sua disposizione un non trascurabile esercito che conta 50 
mila 
fucili, più katiushe e armi anti-tank, e che potrebbero rompere il 
conflitto 
a bassa tensione, che non ha portato nessun vantaggio all’ Autonomia 
palestinese. Si aprirebbe così un periodo terribile, che però , agli 
occhi di 
Arafat, potrebbe cambiare le carte in tavola. Perché l’ esercito 
israeliano 
agirebbe duramente, e il mondo sarebbe costretto a reagire; anche gli 
americani, in una situazione del genere, potrebbero per un attimo 
mettere da 
parte il problema del terrorismo, che invece in questo momento è il 
primo ai 
loro occhi. 
C’ è anche l’ ipotesi, di cui ormai discutono apertamente europei e d 
asiatici, del cambiamento di leadership: un diplomatico giapponese di 
alto 
rango, rimproverato in questi giorni da Israele per avere incontrato 
Marwan 
Barghuti, il capo dei Tanzim, ha risposto che era interessato a 
conoscere 
gli eventuali successori del raí s. E c’ è ancora un’ altra possibilità , 
ancora 
più paurosa: che i missili Kassam 2, preparati da Hamas con l’ aiuto 
degli 
hezbollah, piovano su Israele a una profondità di 8-10 km, anziché 2 
come al 
solito. Se questo accadesse, è stato detto ad Arafat, Sharon potrebbe 
rioccupare le zone A. Scenari estremi, a meno che il durissimo altolà 
degli 
americani non convinca Arafat che dopo l’ 11 di settembre è richiesta 
ai 
leader del mondo arabo un’ abilità politica diversa, in cui rientri 
finalmente anche la lotta al terrorismo. 
            