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Con gli auguri di rito un avvertimento: niente pressioni Clinton II a llarma Netanyahu Il premier d'Israele teme la pace coatta

giovedì 7 novembre 1996 La Stampa 0 commenti
TEL AVIV NOSTRO SERVIZIO Almeno la metà degli israeliani, quelli più affezionati al processo di pace, ieri hanno esultato per la rielezione di Bill Clinton, il presidente che può salvare il Medio Oriente da se stesso. Netanyahu, col sopracciglio alzato, lo ha tuttavia salutato e benedetto, per poi subito precisare che comunque israeliani, insieme con gli arabi, che dunque assisterci, ma non decidere per noi, e che stata e sempre sarà garantita soltanto da chi ha un interesse diretto a mantenerla. È una risposta indiretta ai cento commenti politici che scorgono nel futuro prossimo del primo ministro israeliano lo stress di una nuova pressione americana, fortificata e rinnovata dalla vittoria, e forse anche, adesso, corroborata dall'avvento di uomini più decisi di Warren Christopher e del suo inviato Dennis Ross a portare a casa rapidi risultati. I palestinesi sono contenti; la sinistra è contenta; fra gli esperti più quotati, Yehuda Yaari dice che è sicuro che Clinton, se seguiterà a fare ciò che ha sempre fatto, non può che ottenere gli effetti desiderati: il ritiro israeliano da Hebron, l'apertura del dibattito sullo status definitivo del Medio Oriente, ovvero sullo Stato Palestinese, e anche la pace con la Siria. Nessuno può dimenticare, in Israele dove la comunità americana è assai forte e per metà molto nazionalista, quanto però Clinton si era legato anche personalmente alla leadership del processo di pace, come le sue lacrime per la morte di Rabin fossero davvero disperate, quanto il suo , , abbia fatto epoca, quanto egli abbia tentato di favorire fino all'ultimo la rielezione di Peres per cui ha un'autentica ammirazione intellettuale, e quanto la vittoria di Netanyahu sia stata per lui uno scacco appena dissimulato. Dunque il governo non si sente affatto favorito dalla sua elezione; e tuttavia, si può in genere affermare che tutta quanta Israele, che invece percepiva in Bush, ad esempio, il irritato contro l'arroganza del piccolo Stato ebraico, abbia invece un affetto istintivo per questo presidente che racconta sempre quanto il suo pastore, quando era bambino, gli abbia insegnato ad amare gli ebrei; questo presidente americano che porta la kippah con la disinvoltura che avrebbe un ebreo americano laico; che cita la Bibbia senza mai dire sciocchezze. E soprattutto, che ha fatto della lotta al terrorismo islamico una bandiera fondamentale della sua politica internazionale; che ha attaccato Saddam Hussein, che ha decretato l'embargo all'Iran, e che ha dichiarato a suo tempo: ostacolo per la pace è che il diritto di Israele di vivere in pace non è mai stato riconosciuto dagli arabi. Tuttavia è Clinton colui che ha davvero riabilitato a fondo agli occhi di tutto l'Occidente la lotta del popolo palestinese e del suo leader supremo Arafat. Senza il calore di Clinton, senza la sua pazienza e la sua determinazione nel processo di pace, mai si sarebbero viste quelle epiche strette di mano sul prato della Casa Bianca. E mai, diciamolo, Netanyahu avrebbe tanto presto sconfessato la sua posizione originaria stringendo a sua volta la mano del rais palestinese. Fiamma Nirenstein

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