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CON CHI STANNO GLI EX NEMICI Il Medio Oriente nell'urna Gli arabi con lo sfidante, Hamas: non cambia nulla

lunedì 17 maggio 1999 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME NON soltanto i cittadini israeliani oggi vanno alle loro elezioni fatali. L'intero Medio Oriente mette virtualmente la propria scheda nelle urne di Gerusalemme e di Tel Aviv. Se Ehud Barak, il candidato di sinistra, vincerà le elezioni, si potrà dire che Arafat è stato davvero un alleato più prezioso. Perché ? Perché ha bloccato le eventuali intenzioni di Hamas di far saltare per aria qualche autobus durante la campagna elettorale. Fu proprio la serie di quattro terribili attentati che fecero più di 200 morti che nel 1996 causò la vittoria di Bibi Netanyahu. Vinse per 30 mila voti. Trenta mila persone che provarono troppa paura e troppa rabbia per affidarsi alla pace di Shimon Peres. Se fosse successo alcunché di drammatico nel campo della sicurezza, Netanyahu avrebbe avuto dunque buon gioco nel raccogliere consensi su una linea dura. E invece, almeno fin qui, Arafat ha seguitato ad essere un grande elettore impegnato sul fronte di Barak, anche se certo i palestinesi, nei loro commenti ufficiali, si sono dichiarati neutrali. Dice misterioso ma non troppo Nabil Abu Rudeineh, portavoce di Arafat: "I palestinesi hanno scelto la pace, crediamo nella stabilità e nella coesistenza che giocano a favore di ambedue i popoli". Ma Nabil Shaat, ministro della Pianificazione e della Cooperazione Internazionale dell'Autonomia Palestinese, ha fatto un passetto avanti: "Vorremmo veder uscire da queste elezioni un governo che si impegni nei negoziati per raggiungere l'assetto definitivo. Abbiamo bisogno di un partner dedito a questo scopo". E infine, più sincero di tutti, Sahir Habash, membro del Comitato Centrale di Fatah: "Secondo gli accordi, non dovrei intervenire nelle questioni interne di Israele. Invece voglio dire la mia! Qui si tratta della pace: o sì , o no. Non tutti i serpenti sono altrettanto velenosi. Quindi, israeliani che volete la pace: non votate per Netanyahu". Habash è in realtà il portavoce del pensiero dominante nella leadership palestinese. Ma la teoria dell'equivalenza dei serpenti, è forte. Il popolo del West Bank e di Gaza, interrogato da un istituto di ricerca, dà una risposta apatica e sfiduciata: poco più del 50 per cento pensa che tutto resterà comunque uguale, e quasi il 19 che con Barak addirittura si peggiorerà . Solo il 24,5 per cento ritiene che potrà beneficiare di un governo di quei serpenti di sinistra. Per molti, Barak, il capo di Israel Ehad, Una Israele come si chiama ora la sinistra, è soprattutto un durissimo soldato, un ex capo di Stato Maggiore che non promette niente di buono. Il fatto che abbia trascorso la sua vita (anche militare) sotto l'egida di Rabin, anche lui soldato, non configura rosee speranze. Arafat, che crede però più nella politica che nei fantasmi della storia, mentre puntava su Barak, ha fatto uso di enorme abilità nel gestire la sua parte di campagna elettorale. Prima di tutto, ha rinunciato alla dichiarazione dello Stato indipendente il 4 di maggio, dando così prova di estrema compostezza, ed acquistando nuovi meriti presso l'amministrazione americana che è a sua volta un elettore semi segreto di Ehud Barak. Trattenendosi dal grande gesto, Arafat ha evitato tra l'altro che Bibi potesse flettere i muscoli attraendo l'elettorato più di destra; altrettanto si può dire della quieta reazione palestinese di fronte alle minacce di chiusura dell'Orient House, di fatto la rappresentanza diplomatica palestinese a Gerusalemme Est. Netanyahu puntava a scontrarsi con i palestinesi minacciandone la chiusura, ma Arafat e anche l'intervento dell'Alta Corte israeliana che ha proibito di chiudere adesso gli uffici, ha evitato le turbolenze che ne sarebbero nate. Bibi ha dichiarato più volte: "Vi giuro che Arafat vorrebbe vedere eletto chiunque fuorché me" ma mentre lo diceva, Arafat faceva il giro del mondo visitando 56 capitali piene di benevolenza. È stata da parte di Arafat una capitalizzazione della gestione Netanyahu: infatti, al prezzo del processo di pace, essa ha tuttavia immensamente promosso le quotazioni del raiss presso gli americani e gli europei. Barak dovrà tenerne conto. Ed ecco gli altri votanti alle elezioni israliane: il portavoce di Hamas, Mahmoud al Zihar, naturalmente vuole che vinca il Likud, perché così si ferma il processo di pace: "La sola differenza per noi è che il partito laburista vince il premio Nobel e ci devasta, mentre il Likud ci devasta, e il mondo lo denuncia". Gli hezbollah e il governo siriano hanno deciso giovedì scorso, in un incontro fra Hassan Nasrallah, capo dei guerriglieri, e Bashar Assad, figlio del presidente siriano Hafez Assad che le attività contro Israele continuassero nonostante le elezioni con il ritmo di sempre. Ma il ministro degli Esteri siriano Farouk al Shara, ha annunciato apertamente che preferirebbe la vittoria di Barak; il re di Giordania Abdallah ha addirittura incontrato Ytzhack Mordechai prima di Barak, quando ancora si pensava che fosse un buon candidato per battere Bibi. Certo, l'interessamento di tutta questa platea non è accademico: la Siria per esempio vorrebbe trattare finalmente con un governo di sinistra sulla questione del Golan. "Ma io penso piuttosto - dice Zvi Bar El, esperto di mondo arabo del giornale Haaretz - che ormai i nostri vicini, i cui quotidiani non esistano ad ammettere nei titoli di testa i nomi propri dei candidati senza bisogno di ulteriore spiegazione, guardino ad Israele ormai con occhio politico e diplomatico, e non puramente conflittuale. È una vera rivoluzione".

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