COME SI UCCIDE UNA SPERANZA Lo scommessa fallita di Barak Puntava sulla Siria per avere la pace
martedì 23 maggio 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
EHUD Barak è un primo ministro bravo ma molto sfortunato. Eletto un
anno fa
per fare la pace, si vede trascinato incessantemente sull’ orlo della
guerra;
deciso a cedere la terra e a smontare con dolorose concessioni
assetti
incancreniti da conflitti precedenti, ne vede sorgere di nuovi e
pericolosi
ad opera di un rifiuto arabo rinnovato nella forma dell’ integralismo
che non
conosce compromessi.In realtà quello che sta succedendo in queste ore
nella
Fascia di Sicurezza era nel destino, è stato scritto riga per riga
nei
giorni scorsi dai commentatori israeliani, e l’ esercito l’ aveva
previsto dal
momento in cui il ritiro dalla Fascia di Sicurezza era stato comunque
annunciato sotto i pessimi auspici sia degli Hezbollah (che hanno
subito
promesso in cambio soltanto sangue) che della Siria (che aveva
promesso un
suo eventuale patrocinio del ritiro solo come carta di scambio per
ottenere
più e più ancora terra oltre al Golan, in un accordo risultato
inaccettabile).
In realtà il piano di Barak sarebbe stato onnicomprensivo, ma bisogna
essere
in due, e non in uno, per fare la pace. La Siria, secondo lui, una
volta
recuperato il Golan che Israele proponeva come costosa mercede,
avrebbe
dovuto tirare le briglie agli Hezbollah e consentire un ordinato
ritiro
dalla fascia sud-libanese sotto gli occhi di un benevolente governo
del
Libano, sempre bene indirizzato da Assad. Israele, invece, ha
ricevuto una
risposta sprezzante dalla Siria: o ci date anche un tratto del Lago
di
Tiberiade o noi promettiamo solo lacrime da questo ritiro; il governo
del
Libano ha fatto dichiarazioni contraddittorie e impaurite, diviso tra
il
piacere di riavere indietro la terra e la paura della Siria e degli
Hezbollah; e gli Hezbollah, a loro volta, hanno seguitato a
promettere ciò
che poi hanno realizzato, ovvero di proseguire la loro lotta
religiosa per
eliminare gli ebrei da tutta l’ area, e di vendicarsi sugli Els, gli
uomini
dell’ Esercito Libanese del Sud, amici d’ Israele e in maggioranza
cristiani.
Barak ha chiesto quindi nei giorni scorsi all’ Onu di proteggere la
ritirata
e soprattutto la popolazione israeliana di confine. Kofi Annan, dopo
un’ accurata indagine dell’ inviato Terje Larsen, che ha fatto la spola
da New
York a tutte le capitali coinvolte (Gerusalemme, Damasco, Beirut) ha
garantito che la ritirata sarebbe avvenuta sotto l’ ombrello delle
forze di
pace e nei termini della risoluzione 425, ovvero secondo i confini
internazionali del 1923. Ha rifiutato, unico punto controverso, la
richiesta
libanese di ricevere una parte del Monte Hermon. Restava, vera spina
nel
cuore della ritirata, la questione dell’ Els, i miliziani che nei
giorni
scorsi hanno provato a chiedere un’ amnistia del governo libanese,
ricevendo
dagli Hezbollah molteplici risposte d’ odio: « Consegnatevi dopo aver
assassinato un israeliano, e sarete salvi» .
Israele ha discusso a lungo con i miliziani il da farsi: alla fine ha
stabilito di aiutare chi lo richiedesse (in genere gli ufficiali) a
trovare
sistemazione in Israele o all’ estero (Anton Lahad, il generale, ha da
tempo
una sua casa in Francia), oppure di lasciare i miliziani, non
sprovvisti di
armi nelle zone abbandonate dall’ esercito, alla loro vita di
contadini
libanesi. Ma il rischio era evidente, e si è realizzato. Una volta
andatosene Barak dalla Fascia, gli Hezbollah si sono precipitati
nelle zone
franche, e gli Els si sono affrettati a consegnare loro terra ed
armi.
Qualunque cosa può accadere, adesso: i cittadini delle regioni del
Nord
Israele costretti nei rifugi mentre l’ esercito si ritira dalla Fascia
di
Sicurezza, sono una scena cupamente simile a quella della Polizia
Palestinese armata a suo tempo da Rabin e Peres che spara contro
l’ esercito
israeliano che cerca di tenere l’ ordine, mentre Barak offre ad Arafat
il 90
per cento del West Bank.