COME LA VICENDA DEI TEMPLI HA COMPLICATO LA VITA AI DUE PROTAGONISTI Grana per Sharon, trappola per Abu Mazen
lunedì 12 settembre 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
La pace a Gaza non è vicina anche se l’ atmosfera di questo ripiegamento è
simile a quella dell’ uscita dal Libano, un piccolo vento di speranza che ha
asciugato le lacrime: non sono tristi i ragazzi in divisa che si preparano
alla lunga notte in cui il grande tramestio dei mezzi corrazzati, coprirà
gli ordini gridati. Si lasceranno luoghi in cui si è salutato un amico per
l’ ultima volta, o si è cenato nelle case ormai distrutte delle famiglie che
non abitano più su quelle sabbie. I palestinesi non sono venuti al passaggio
delle consegne; le mappe relative all’ elettricità , all’ acqua, ai sistemi
fognari non sono venuti a prenderle perché vince su tutto la rabbia e anche
la sorpresa che il governo di Sharon abbia decido all’ ultimo momento, ieri
mattina, 14 ministri contro 2, che la ventina di templi ebraici della
Striscia non verranno distrutti dall’ esercito.
E’ stata una decisione che è tornata sulla scelta precedente, e che onora la
richiesta dei rabbini che non siano ebrei a distruggere vestigia ebraiche: i
templi resteranno, scheletri bianchi, in piedi, in attesa della folla
palestinese che vede in loro soltanto il simbolo dell’ odiato nemico. Le
macchine da presa sono in agguato. Mentre Gaza ribolle, i palestinesi si
preparano a prendere possesso della Striscia con un senso di rabbia e
rivendicazione: vedono la scelta di lasciare in piedi le sinagoghe come una
trappola preparata da Sharon contro di loro. Sentiamo a Gaza Ishan Abd el
Razeh, mentre nelle strade intorno si preparano le bandiere le magliette e
l’ Autonomia Palestinese e le organizzazioni armate fanno i loro piani
perché l’ eccitazione dia loro in mano il nuovo grande, appetibile spazio
vuoto sul quale la sovranità significa terra, denaro, lavoro, e anche scelte
strategiche per i prossimi anni. Dice molto arrabbiato Abd el Razek: « Le
sinagoghe a Gaza non sono per i palestinesi luoghi sacri, perché vedono in
esse solo il segno dell’ occupazione. Sharon doveva portarsi via tutti quante
le sue tracce. In nove mesi non ha aiutato Abu Mazen, e adesso addirittura
lo mette in difficoltà lasciando là queste mura che verranno assalite e
distrutte come simbolo dell’ occupazione, così che tutto il mondo ci
consideri incapaci di controllare la situazione» .
Ma la decisione degli israeliani, spiega il ministro degli esteri Silvan
Shalom, non ha niente a che fare con i problemi di Abu Mazen, per quanto
seri essi possano essere. « Gli ebrei - spiega Shalom - stabilirebbero un
pericoloso, scandaloso precedente per tutti gli antisemiti del mondo: se
essi stessi distruggessero le sinagoghe, i nostri nemici lo vedranno come un
segno di vigliaccheria da parte nostra e di incoraggiamento per i loro
crimini. Abu Mazen ha un difficile compito, è vero, ma la leadership è
talvolta molto impegnativa e pesante, e i nostri vicini adesso sono chiamati
a un compito pesante e indispensabile» . La polizia palestinese sul vecchio
confine che da questa notte non esisterà più , già da giorni respinge torme
di giovani e di ragazzi che cercano di entrare e spazzare l’ area simbolo per
certi soprattutto simbolo di libertà , per altri di una supposta sconfitta
israeliana. E’ una pentola a pressione che rischia di far saltare il
coperchio ad ogni momento, con grave rischio per il gruppo dirigente del
Fatah. Tutto è pericolosamente aperto nella prima e ultima notte di
solitudine delle dune della Striscia.