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Ciao, ciao Obama: non ti rimpiangeremo

domenica 1 gennaio 2017 Diario di Shalom 0 commenti
Shalom.it, gennaio 2017

È difficile ormai pensare, come molti avrebbero voluto, che a Obama è stata a cuore, durante i suoi due mandati, la pace in Medio Oriente. Innanzitutto si è tirato vergognosamente indietro lasciando il campo libero a russi, iraniani e Hezbollah quando avrebbe dovuto fare il passo decisivo, ovvero quello di fermare Assad, al tempo della “linea rossa” delle armi di distruzione di massa, che hanno prodotto l’uccisione di centinaia di migliaia di persone e milioni di feriti e fuggitivi.

Al tempo della Primavera Araba Obama scelse l’interlocutore al momento più comodo, la Fratellanza Musulmana, senza interrogarsi sui disastrosi risultati per il futuro; sulla questione iraniana si è impuntato a non scorgere i pericoli evidenti e le trappole palesemente tese dalla Repubblica Islamica che oggi si traducono in un efferato imperialismo che occupa quattro capitali; ha insistito con un atteggiamento esclusivamente ispirato al politically correct nella negazione dell’islam radicale come ispirazione del terrorismo, di fatto spuntando le armi di tutto l’Occidente... E più di ogni altra cosa si è avventato alla fine del suo mandato, portando a espressione completa una autentica nevrosi aggressiva, contro Israele, l’unica democrazia del Medio Oriente e incurante dei suoi stessi cittadini, contro l’unico vero sincero alleato, anzi, parente stretto nella scelta democratica.

Per farlo ha scelto come palcoscenico il peggiore nemico non soltanto di Israele, l’ONU (che con le sue maggioranze automatiche fatte di Stati Islamici e di Paesi cosiddetti del Terzo Mondo dedica ogni anno due terzi delle sue risoluzioni di condanna allo Stato Ebraico) ma del suo stesso Paese, se è vero, come è vero, che l’ONU è stato il teatro dell’intera Guerra Fredda, che ha visto tutto lo schieramento prosovietico e cinese farsi alternativa mondiale al cosiddetto “imperialismo” di cui America e Israele erano considerati i due pilastri, e quindi i nemici fondamentali.

E’ del tutto evidente che le cose stavano, e stanno a tutt’oggi, alla rovescia di come li descriveva la narrativa di sinistra, ovvero che i Paesi autocratici, imperialisti, aggressivi, schiavisti, bigotti e dominati da impossibili dittatori erano appunto quelli del blocco sovietico, gli stessi che nel 1975 hanno votato la infame risoluzione “sionismo uguale razzismo”. Ma Obama ha scelto l’ONU, e non poteva essere più coerente per un’operazione di distruzione della legittimità di Israele e della sua politica, e di conseguenza anche della ripetuta proposta israeliana per un autentico processo di pace: sono ormai più di tre anni che Netanyahu invita Abu Mazen a sedersi e a trattare su una pace che disegni confini plausibili sia per gli israeliani che per i palestinesi, per i primi dal punto di vista della sicurezza, per i secondi dal punto di vista della praticabilità. Ci possono essere molte ipotesi che superino la vecchia visione dei confini (che poi non sono confini, Israele non ne ha se non con l’Egitto e la Giordania che hanno accettato un trattato di pace, altrimenti si tratta sempre di linee armistiziali), per esempio i cosiddetti “swap” territoriali che tirino in gioco l’Egitto e la Giordania stessi con scambi e incentivazioni... ma no, di nuovo l’ONU ha stabilito una condizione impraticabile e insensata, quella dei confini del ‘67 che Israele non potrebbe mai accettare perché ne va della sua esistenza stessa; ha di nuovo indicato come ostacolo fondamentale non quello del tutto evidente a ogni persona ragionevole del rifiuto palestinese (che si è espresso anche in trattative generosissime, come quella del 2000 fra Ehud Barak e Arafat e poi quella del 2008 di Ehud Olmert, che era letteralmente pronto a tutto pur di firmare una pace) ma quello degli insediamenti. Essi sono di nuovo stati definiti “illegali”, e non “disputati” come nella risoluzione del ‘67, la 242. Oggi i nemici di Israele, disegna no come propria una parte della capitale bimillenaria dello Stato Ebraico, compreso il Muro del pianto, e rivendicano zone come quella da cui si può agevolmente sparare agli aerei in arrivo all’aeroporto Ben Gurion. Le cose adesso funzionerebbero come quando si sono consegnati ai palestinesi 21 insediamenti a Gaza nel 2005 ricevendone in cambio lo Stato Islamico di Hamas che chiede la distruzione di Israele e lo bombarda strenuamente con una gragnuola di missili sui civili.

La stessa espressione della risoluzione che chiede la restituzione di “palestinian territories” è fasulla, non esistono territori palestinesi, non c’è mai stato uno “stato palestinese”: come è noto la Giudea e la Samaria erano terre occupate illegalmente nel 1949 dalla Giordania che attaccò Israele anche nel ‘67. Allora Israele difendendosi ha appunto occupato quei territori. Senza tuttavia violare mai la dichiarazione di Ginevra, per cui è illegale spostare popolazioni aborigene: Israele non l’ha mai fatto. Inoltre quella zona è parte del disegno di una futura “casa ebraica” disegnata con la dichiarazione Balfour. Ma lasciamo da parte la storia, che probabilmente Obama non conosce o preferisce ignorare. Importante è ricordare invece che, persino dopo il “remake” delle posizioni obamiane nel discorso di 72 minuti che Kerry ha dedicato a poche ore dalla risoluzione alla terribile evenienza che esistano insediamenti che impediscono la pace (che vergogna sentirlo mentre a pochi chilometri si compiva la tragedia di Aleppo), i palestinesi hanno subito ripetuto un loro prevedibilissimo “no”.

Come potrebbero pensare a colloqui di pace mentre il mondo sembra dalla loro parte nel disegnare una soluzione totalmente sbilanciata verso di loro? Come trattare i confini, se sono già stati disegnati? E più di ogni altra cosa, come non proseguire in questo magnifico gioco delle vittime cui sono stati rubati i loro territori e che li vogliono indietro, se esso contribuisce al picconamento quotidiano del nemico sul terreno diplomatico, del BDS, dell’aggressività internazionale, dell’emarginazione morale di Israele, l’unico Paese morale della zona? Abu Mazen ha assunto toni di sfida molto più aggressivi del solito: uno dei suoi uomini ha subito sottolineato che la risoluzione deve essere vista non solo come una luce verde al boicottaggio di Israele, ma anche all’uso della violenza, al rafforzamento della “resistenza popolare”, lancio di pietre, attacchi con le auto e i camion, incendi, assassinio di donne e bambini negli insediamenti. Abu Mazen naturalmente è particolarmente soddisfatto della conferma da parte della risoluzione della sua supremazia su Gerusalemme, da cui viene espulsa la storia confermando l’invenzione di Arafat che gli ebrei non hanno niente a che fare con questa terra e con la sua capitale. Naturalmente, felicissimi della risoluzione sono anche Hamas e la Jihad Islamica, che la vedono come un gesto di complicità nel disegno di rimpiazzare Israele con una regione del futuro impero islamista.

Il terrorismo classico di Hamas ne verrà sicuramente incoraggiato. Naturalmente gli Hezbollah e l’Iran, che hanno iscritto nel loro principale programma la distruzione di Israele, vedono con grande soddisfazione il sentimento di vittoria dell’odio antisemita nel mondo. Era questo che Obama cercava? E’ difficile dirlo: certamente resterà nella storia questa dedizione alla causa antisraeliana proprio negli ultimi giorni della sua presidenza insieme alla mobilitazione di Kerry, mentre così tanto, e così degno di nota, avviene in medio Oriente e nel mondo islamico. Se era questo che voleva, l’ha avuto: un immenso fallimento in Medio Oriente, una scia di sangue in Siria, una risalita economica e militare dell’Iran, una crescita del terrorismo nel mondo. Ma Israele non ha certo alzato le mani: il prossimo capitolo probabilmente ci riserva una svolta internazionale molto rilevante, e speriamo di poterne presto dar conto.

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