CHIUSA NEI RIFUGI LA GENTE ATTENDE LA MORTE CHE SCENDE DAL CIELO A K iryat Shmona piovono i katyusha e si vive sotto terra
giovedì 3 agosto 2006 La Stampa 0 commenti
inviata a KIRYAT SHMONA
« Non si dimentichi, quando scrive, di dire che stasera comincia Tisha be
Av» . Guardo Avraham, soldato delle riserve di 37 anni, che normalmente
gestisce un ufficio, una moglie e ben cinque figli, adesso al nord gestisce
solo un M 16 che gli ciondola dalla spalla; è uno dei soldati delle riserve
chiamato a combattere gli Hezbollah.
Peccato ricordare oggi Tisha be Av, suggeriamo, proprio oggi che sono stati
sparati dagli Hezbollah circa 230 missili. Peccato ricordarlo mentre si
guardano i giovani seduti da ore al sole in vetta ai carrarmati o seduti in
un angolo di ombra per terra, mentre bevono dalla borraccia o scherzano con
i compagni: perché Tisha be Av, il nove del mese di Av in cui i religiosi
digiunano (ma non i soldati oggi, c’ è una decisione specifica del rabbinato
centrale), è il giorno in cui si ricorda la distruzione del secondo Tempio e
di Gerusalemme che segnò la fine dello stato d’ Israele, e la deportazione
degli ebrei in massa verso Roma.
Una ricorrenza che deve piacere a Nasrallah. Ma perché mai Avraham lo vuole
ricordare? « Proprio per fare il punto: perché ora Israele l’ abbiamo
ricostruito, noi siamo capaci di difenderlo, non venga in mente né a
Hezbollah né a qualcun altro di provare a distruggerlo. Come si dice, enough
is enough, no? Quando basta, basta. Guardi alla nostra storia» .
Dalle nove e mezzo i bombardamenti di Nasrallah diventano parossistici:
circa 230 fra katyusha, kassam e anche Fajar, grossi missili carichi anche
di pallottole di piombo che aumentano verticalmente il danno che porta
l’ esplosione. Una coproduzione iraniano-siriana. Piovono parecchie katyusha
e molto vicino, scendiamo in un rifugio di Rosh Pinna, una storica cittadina
di confine in cui abbiamo passato la notte. I « boom» si sentono anche da
dentro. Questo è un rifugio ampio, con tv e aria condizionata, molto diverso
da quelli che vedremo a Kiryat Shmona o che abbiamo visto a Haifa: letti a
castello, aria soffocante, bambini ormai difficili da contenere finché non
arrivano i vari gruppi di supporto che cantano, suonano, portano cibo.
Israele è nei guai, sono tutti disperati. Ieri la gente sulla costa, dopo
che per un giorno aveva respirato, era al collasso. È tutto chiuso, non ci
si può spostare per le strade, la sirena suona di continuo e i bambini
piangono. A Kiryat Shmona una donna mi viene incontro, con un bambino in
braccio e due attaccati alla gonna, e mi urla: « Me lo dica lei, giornalista,
dopo un mese sotto terra che cosa dobbiamo fare. Chi ci aiuta? Chi ci
capisce? E la mia famiglia è profuga dalla Libia!» . Il lavoro va a rotoli,
la stagione turistica del nord è andata, le fabbriche e i campi sono quasi
morti, si fanno funerali di passanti e operai. I vecchi si ammalano, la
depressione spazza il nord giù fino a Beit Shean e ad Acco. Nel rifugio,
Anat arriva piangendo: era all’ ufficio postale, il boom e poi la fossa
bruciante, e poi l’ inizio di incendio... non ce la fa più .
La gente viene portando frutta, c’ è dell’ aranciata e giochi per i bambini.
Abraham aveva detto poco prima: « Noi ci consoliamo quando abbiamo paura
aiutandoci l’ un l’ altro. C’ è stima tra noi, mia moglie mi ammira quando sto
per entrare in Libano. E sa che non ho nessuna intenzione di morire, abbiamo
ancora molto da fare» . Ma Anat piange in pieno choc: lungo tutta le colline,
con grandi fumate si segnalano i crateri delle katyusha a poche decine di
metri l’ una dall’ altra, lungo tutta la strada che sale a Metulla,
all’ estremo confine. E questi missili cercano qualsiasi cosa: le case dei
civili, qualcuno da uccidere per strada, in macchina, in un negozio. L’ uomo
che uccideranno oggi è un contadino del kibbutz Saar in bici.
Fra i botti, in un remoto campo di riserve e di strumenti logistici
incontriamo il capo di Stato Maggiore Dan Halutz, che nei giorni scorsi è
stato ricoverato all’ ospedale per un dolore alla pancia: adesso spiega che
sta benissimo, stando ritto solo il sole protetto da occhiali da sole
nerissimi. Tutto intorno ci sono, oltre ai soldati, giornalisti, missili che
fioccano, colpi di cannoni che rispondono. Cambio di scena. Al di là degli
scenari di disperazione, fatti nuovi e forse più significativi: gli
Hezbollah sparano, ma Israele è forte. Dan Halutz spiega che le cose vanno
molto meglio di quello che sembra: forse quasi 400 uomini degli Hezbollah
sono stati eliminati. E poi racconta l’ operazione di Baalbek, in cui
l’ esercito è ancora quello di Moshe Dayan, o di Entebbe. Forse ci sarà
un'accelerazione da ora: la Tzava infatti allarga decisamente l’ operazione.
« Vede - dice un altro soldato delle riserve, un gerosolimitano di nome Eyal
- siamo sempre capaci di arrivare dappertutto, di piombare nel cuore della
roccaforte degli Hezbollah, portare via uomini, armi, documenti» . Eyal sta
appoggiato a una delle baracche della base, con altri che si sforzano di
scherzare aspettando il loro turno, mentre a casa sono rimasti tutti i loro
cari. La mamma ti telefona? « No, l’ ho educata bene: quando posso telefono
io, ma ci sono di quelli che anche a 45 anni sono ossessionati dalla
famiglia. Non solo per chieder come stai, per l’ angoscia che stai per
entrare in Libano, ma anche per tutte le cose pratiche rimaste a metà , come
l’ affitto» .
I riservisti più grandi, in fondo, sono quelli in cui si vede più la
preoccupazione: « No, paura no, ma certo ci si preoccupa, basta restare
capaci di controllarsi, e io ci riesco» . I ragazzi invece non hanno paura.
Quando escono verso la battaglia, che sarà dura, fatale, in cui sono già
sono morti alcuni loro compagni, essi spiegano con semplicità che per loro è
più importante il collettivo della loro persona. Il comandante ripete loro
le cose fondamentali: « Non sparate mai a sinistra, perché là c’ è la seconda
compagnia, i vostri compagni. In generale, non sparate mai a un obiettivo
che non metta in pericolo la vostra stessa vita» .