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CHE COSA SI NASCONDE DIETRO LA STRATEGIA DELLA PAURA TERRORISTI Monac i del nostro tempo

mercoledì 11 settembre 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME COS'E’ questo, mi chiesi incerta quando il primo, e poi il secondo aereo entrarono nelle due Torri, che cosa diavolo sta succedendo? Un aereo è entrato in una delle Twin Towers, un grande aereo, e poco dopo il secondo, ma di che cosa si tratta? Che cos’ è questa strana faccenda? Quell'entrare silente e morbido, come nel burro, non fece neppure pensare al fuoco, al rombo, alla strage. Fu allora che un israeliano, nella stanza di Gerusalemme piena di luce in cui guardavo basita lo stesso teleschermo da cui in genere le tv locali riescono sempre a trasmettere quasi in diretta le centinaia di attentati che insanguinano Israele, rispose pianamente, senza stupore e col solito dolore: « E' un attentato terroristico, non vedi?» . Lui israeliano, lo capì subito; io, europea, non riuscivo a digerire l'orrore. Da allora, il mondo intero fatica ad afferrare l'essenza di questa semplice realtà , e le sue conseguenze: e ancora oggi non vogliamo sapere del terrorismo alcune semplici verità , specie quelle che togliendogli la specificità americana ce lo rendono chiaro e presente nella nostra stessa vita. Come se il terrore fosse una « via italiana al socialismo» , piuttosto che una « crisi argentina» , o una « satrapia orientale» , uno status politico specifico, oppure una mossa che si compie in una determinata condizione per giungere a un risultato, appunto, specifico. Per esempio, molti commentatori hanno seguitato a ripetere che il terrore che ha colpito gli Usa è diverso da quello che colpisce Israele, o nelle Filippine. Secondo questi commentatori, laddove esistono temi irredentistici (che peraltro esistono evidentissimi anche nelle rivendicazioni di Al Qaeda), l'aspetto islamico antioccidentale è minore, curabile. L'odio contenuto nell'azione, circostanziabile, talora motivabile. Di fatto, questa polemica ha ripercorso quella antica, da Guerra Fredda, che ha per decenni suggerito che il tuo terrorista, può essere il mio combattente per la libertà . L'11 settembre ha certamente riaperto questa questione. Il terrorismo secondo la definizione concordata dai più eminenti studiosi consiste nella scelta deliberata, strategica, di colpire civili per propri fini politici. Tutti i terrorismi spostano la guerra sul terreno della società , e cercano di spezzarla. Un altro dato comune: i « militanti» , i « miliziani» come li chiamiamo, i terroristi stessi, sono anch'essi dei civili, nel senso che la loro vita è apparentemente identica a quella delle loro vittime; e anzi si serve di un terzo gruppo di civili, quelli in mezzo ai quali si nascondono, per perpetrare le loro azioni. Civili e ancora civili: il campo di battaglia con il terrorismo è spostato tutto necessariamente fra la gente, e questo ci confonde terribilmente: ancora non abbiamo regole né ispirazioni sufficienti per capire come si guerreggia fra civili senza colpirli. Per cui variamo da un istintivo « ammazza ammazza» nel momento più caldo, fino a una virtuosa polemica garantista, certo lodevole, quanto vuota di pensiero e di risultati specifici contro il terrore. Questo, di nuovo, vale per tutti i terrorismi: le organizzazioni per i diritti umani e civili conoscono il modo di difendere la società dalle istituzioni (governi, eserciti) che combattono contro il terrore, ma non sanno che proporre « appeasement» con il terrorismo stesso per cercare di farlo finire. Non funziona, non può funzionare: il terrorismo non è affatto interessato alla pace in quanto tale, come lo siamo noi dopo la Seconda Guerra Mondiale e dopo la fine della Guerra Fredda. Al contrario: per i terrorismi è il momento di attaccare, non c'è offerta che lo possa placare, non c'è vantaggio territoriale né segno di rispetto che lo convinca. L'avversario deve essere schiacciato. E con lui, quell'insieme di diritti umani e civili che caratterizzano le nostre società : il terrore li attacca tutti insieme non strumentalmente, ma perché li rifiuta, perché il modello sociale che propone è diverso. Un'altra lezione che si apprende dall'11 settembre sulla definizione di terrore è dentro la storia post Guerra Fredda degli Usa: si vede che già dalla fine degli anni 80 essi hanno sofferto di questo fenomeno; che la sua matrice è soprattutto islamica; che proprio negli anni in cui si sente un maggior clima di pacificazione, la sua importanza come simbolo di una vita non voluta, rifiutata, diventa enorme; è l'origine mediorientale del terrore più attivo, evidente. Il dato islamico del terrore come famiglia unitaria è forse il più conturbante, geograficamente per la sua immensa estensione, e ideologicamente perché distrugge la nostra passione occidentale per la diversità ; che si sia suggerito che l'amicizia americana per Israele sia ciò che hanno indicato gli Usa come obiettivo, è una visione poveramente politica, da ambasciate, che sempre infatti salta in un sol fiato all'idea suggerita a mezza bocca che la prepotenza americana sia in parte causa dall'attacco. Non è così : semmai Israele e America hanno in comune, ancora una volta, un dato inviso al terrorismo: dalla tradizione giudaico cristiana nasce la democrazia, che non nasce invece dall'Islam. Abbiamo a lungo messo in sottordine il problema della democrazia nei paesi in via di sviluppo, affamati com'eravamo di libertà , pentiti com'eravamo del colonialismo: così l'autodeterminazione si è risolta anche in una vasta rete di regimi che ci odiano e che finanziano il terrore. Ubeidi Al Quraishi, un attivista di Al Qaeda, ha scritto di recente che esiste un'analogia fra il massacro di atleti israeliani a Monaco nel 1972 e l'attacco alle Torri : ambedue sono state « grandi vittorie musulmano-arabe» , con un'enorme copertura mediatica che ha portato in un caso alla luce la tragedia e la lotta palestinese, e nell'altro caso l'audace attacco dell'Islam all'Occidente industrializzato, e tuttavia vulnerabile. A due anni dall'attacco di Monaco, Arafat fu invitato a parlare alle Nazioni Unite; il terrorismo fu vissuto come un epifenomeno rispetto al tema politico della battaglia. Non lo era, la sua organizzazione e l'educazione basilare della gioventù e dell'infanzia, la sua messa in pratica sono il leit motiv che non si perde mai, neppure con l'accordo di Oslo e con Camp David. In realtà , il terrorismo è una « main stream» mediorientale senza confini economici(è l'affluente Arabia Saudita che lo ha finanziato in buona parte, e che ha dato i natali ai protagonisti di Al Qaeda), caratterizzata in toto dalla determinazione della rivincita islamica anche territoriale. Bin Laden ha capito, compiendo quell'inconcepibile atto di crudeltà , che era il mezzo, in realtà , il suo proprio fine; che proprio l'affermatività del terrore in quanto tale avrebbe vitalizzato e mobilitato il suo Islam. Il terrorismo più che un’ arma è un mondo, un universo ideologico e pratico in sé , autoreferente, un'ispirazione, un'educazione anche scolastica e di massa a ciò che viene chiamato « martirio» , ovvero l'offerta della vita in nome di un principio superiore. Saddam ha ben intuito che donare 25 mila dollari a famiglia di terrorista palestinese dona significato universale al suo accumulo di armi biologiche e chimiche e al rifiuto delle ispezioni occidentali. Il terrorismo è un movimento universale, di valori, di modo di vivere (i terroristi sono oggi monaci ben diversi dagli smodati Carlos comunisti di un tempo), cui noi abbiamo da opporre, oggi che ancora non abbiamo regole per combatterlo, il nostro universalismo. Esso si chiama oggi come ai tempi della Guerra Fredda, « democrazia» , e quella guerra l'abbiamo vinta.

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