Capodanno a Gerusalemme: reminiscenze bibliche e ferite del passato, mortee resurrezione Aspettando la mezzanotte sul Monte degli Ulivi
venerdì 31 dicembre 1999 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
GERUSALEMME 
IL Monte degli Ulivi dove, mille e non più mille, si aspetta 
l'Apocalisse, 
sovrasta nero, verde e punteggiato dell'oro dei santuari, la vallata 
di 
Josafat e del Kedron, che prosegue nella valle dell'Hinnon sotto la 
punta 
del muro sud-orientale di Gerusalemme. Là la valle prende il 
terribile nome 
di Geenna , dove strapiomba l'Inferno. Geremia la chiamò la « valle 
delle 
stragi» , Plutarco riporta che i preti del dio Moloch cantavano a 
squarciagola e suonavano i tamburi per coprire le urla dei 
sacrificati vivi. 
Ancora nel 1047 gli ebrei del luogo sostenevano secondo una cronaca 
persiana 
che dalla valle uscivano terribili grida e lamenti dei dannati 
dell'Inferno. 
Se si scende giù in basso, sotto la Cineteca, fra un film d'autore e 
una 
cena a base di focaccia e verdure arrostite, senza troppo sforzo li 
si ode 
ancora. Sopra le mura, in mezzo la Geenna, più avanti il deserto a 
perdita 
d'occhio, giù nel buco della depressione che porta a Gerico e poi al 
Mar 
Morto. Terrificante è l'aggettivo che talvolta compete a Gerusalemme. 
Ma, 
secondo il solito dualismo di dannato e santo, tragico e ironico, 
meraviglioso e orribile che caratterizza Yerushalaim (il suffisso aim 
è 
duale, e su questo sono stati compiute infinite ginnastiche 
mistico-storiche), la valle di Josafat, attaccata alla Geenna, è 
anche il 
luogo dove l'umanità intera deve risorgere con la propria carne in 
occasione 
del Giudizio Universale. 
Il frate domenicano Felix Fabri, che visitò Gerusalemme due volte 
alla fine 
del ‘ 400, fu deluso da quella riga di terra stretta e profonda: 
« Persino una 
sola nazione non vi troverebbe posto intera, come si può immaginare 
che 
l'umanità tutta vi risorga?» scrisse preoccupato. Intanto, 
sottovalutava il 
fatto che chi non è seppellito a Gerusalemme dovrà prendersi 
l'incomodo, ma 
è previsto, di rotolare sottoterra fino al luogo designato; e poi, 
forse, 
non si era reso ben conto della pregnanza totale, quasi allegra nella 
sua 
definitiva, inappellabile presenza sotto il Monte degli Ulivi, della 
signoria della Morte su questo pianeta. 
Le tombe nella valle, da immediatamente sotto al Getsemani fino 
proprio alla 
muraglia sopra la quale dardeggia oro la cupola della Moschea di 
Omar, sono 
dappertutto, una scacchiera bianca e nera, un gioco di domino 
millenario, un 
pezzo che cade sull'altro, lapidi intere e lapidi rotte, bianche, 
grigie, 
crema, rosate, scoperchiate con le scritte rosicchiate; un'immensità , 
un'incredibile varietà di volte, cripte, catacombe, steli, monumenti 
funebri 
grandiosi, in grandissima parte ebraici, e poi anche musulmane e 
cristiane. 
Qualche arabo a cavallo o sul ciuco passa ogni tanto in basso, 
giovani 
turisti si baciano, gli ebrei appongono un sassolino in segno di 
ricordo. Il 
maggior numero di questa immensità di tombe sono semplici pietre 
rettangolari con i nomi, le date, un aggettivo come haham, ovvero 
saggio, 
scritto presso il nome del defunto. Nel gran guerreggiare di 
Gerusalemme 
sono state elemento di lotta: ancora fra il ‘ 48 e il ‘ 67 circa 50 
mila tombe 
ebraiche furono distrutte dai giordani. In genere nessuna tomba 
aliena alla 
religione del dominatore (18 volte in tremila anni Gerusalemme ha 
cambiato 
di mano) ha goduto buona salute. C'è tuttavia nella valle di Giosafat 
non 
solo la speranza di battere alla fine la Grande Falciatrice 
mettendosi al 
riparo delle mura di Gerusalemme, ma anche il senso di quanto fosse 
alla 
moda farsi seppellire qui: e ancora lo è . Molti ebrei da tutto il 
mondo 
comprano ormai rari lotti. E sono quattromila anni che si viene a 
morire qui 
volentieri. 
Vediamo, scavate nella dura roccia di questi luoghi, veri tempietti 
ellenistici, alti parecchi metri, col tetto a punta, ornati di 
colonne e 
capitelli. La tomba di Shebna, il sovrintendente del re nel V secolo, 
avverte i ladri che non c'è né oro né argento dove dormono lui e la 
moglie, 
e li maledice se manometteranno il loro riposo. Fra le grandi tombe, 
quella 
di Assalonne, quella grandissima dei figli di Hasir, e anche, poco 
più in 
là , un monumento funebre che parla di una principessa egizia venuta 
in sposa 
a re Salomone. Alcuni resti di questa metropoli di morte e 
resurrezione 
risalgono all'VIII secolo a.C. La memoria si perde al tempo in cui il 
re 
David secondo le scritture si mise ritto a veder passare nella valle 
del 
Kedron i ribelli di Assalonne che aveva sconfitto, o quando Josafat, 
il re, 
vinse nella vallata che da lui prese il nome i moabiti e gli 
ammoniti. 
Qui diventa recente il tempo in cui Gesù fece del Monte degli Ulivi 
il suo 
quartier generale: poco lontano da questa marea di tombe, che già in 
parte 
esisteva, visitò Marta e Maria, resuscitò Lazzaro (esiste 
un'impressionante 
cupa vestigia della sua tomba), salì sull'asino che lo portò fra la 
folla 
che lo acclamava in un tripudio di palme, pianse prevedendo la caduta 
di 
Gerusalemme, chiese a Dio di allontanargli quell'amaro calice. In 
questa 
valle i romani assediarono il Grande Tempio e riuscirono a espugnare 
la 
città , in varie riprese piantarono centinaia di migliaia di croci che 
uccisero altrettanti ebrei ribelli. La città si chiamò Elia 
Capitolina e gli 
ebrei, espulsi senza remissione, da allora guardarono Gerusalemme dal 
Monte 
degli Ulivi. Vedevano i due archi della Porta d'Oro da cui il Grande 
Sacerdote nella festa terribile del Kippur, giorno dell'espiazione, 
mandava 
giù verso le tombe e verso il deserto il capro espiatorio. Poi quella 
porta 
si richiudeva. Le profezie prevedono che da quella porta debba 
rientrare il 
messia a Gerusalemme nel Giorno del Giudizio ed è per questo che i 
musulmani 
l'hanno ben murata, e così la vediamo oggi sopra la valle dal Monte 
degli 
Ulivi. Qua Gioele ha la visione dell'Apocalisse: « Li farò scendere 
nelle 
valli di Josafat e là verrò a giudizio con loro, mio popolo, mia 
eredità ... 
Salgono le genti alla valle di Josafat perché là siederò a giudicare 
tutte 
le genti...» . 
Sopra il tetto dei figli di Hasir, lieve divisione fra la vitalità 
incontenibile, eccessiva, del cielo azzurro di Gerusalemme e i 
cunicoli neri 
ammobiliati di pietre per la deposizione, un ragazzo vestito con 
camicia e 
pantaloni candidi siede in postazione esplorativa. Un po' legge, un 
po' 
scruta. La valle di Josafat è ai suoi piedi, il Duemila fra poche ore 
arriva. Ma quella lapide, non era un po' più a sinistra? 
            